istock_000024996041_double-web

Mangiare a scuola aiuta a crescere

La mensa scolastica nelle scuole primarie non è solo un servizio utile per i genitori o una funzione indispensabile nel caso della scelta del tempo pieno. Secondo un rapporto di Save The Children è uno strumento importante per l’educazione alimentare, per la socializzazione, e per prevenire l’abbandono scolastico. Il documento prende in esame alcune mense delle scuole primarie nei 45 Comuni capoluogo di provincia con più di 100.000 abitanti e ne analizza tariffe, esenzioni, trattamento in caso di morosità e qualità dell’offerta. In alcuni casi per i genitori non avere il servizio di mensa significa non poter lavorare, o cercare un nuovo lavoro. Ne parliamo con Antonella Inverno, responsabile Policy and Law di Save the Children.

Perché concentrarsi sulle mense?

«Perché assicurano la possibilità per i bambini di godere pienamente del diritto all’istruzione e alla salute, elementi riconosciuti dalla Convenzione Onu di New York oltre ovviamente che dalla nostra Costituzione. Avevamo puntato i riflettori sulla questione mense già due anni fa, a seguito di alcune segnalazioni che riguardavano bambini esclusi dal servizio per una morosità nel pagamento delle tariffe da parte dei genitori. Abbiamo iniziato con il monitoraggio sulle singole segnalazioni e poi ci siamo resi conto che la situazione era davvero emblematica, perché da un comune all’altro le tariffe e le prassi cambiavano: negli anni abbiamo allargato il monitoraggio».

Un elemento chiave, dunque

«Per noi la mensa non è solo un servizio accessorio: può rappresentare un valido strumento di lotta alla povertà, perché i bambini avrebbero assicurato almeno un pasto caldo e equilibrato al giorno in un periodo in cui le famiglie riducono la spesa alimentare. Inoltre è un ottimo spazio di socializzazione, educazione, e integrazione degli studenti. Ragionando sulle percentuali di scuole senza mensa e di classi senza tempo pieno oltre che sui tassi di dispersione scolastica, emerge una chiara correlazione tra questi elementi. Dove non c’è la mensa non c’è il tempo pieno e c’è più dispersione. Questa volta abbiamo anche inserito le opinioni dei bambini, attraverso disegni, pensieri, affermazioni e proposte».

Andando più a fondo rispetto ai 45 comuni presi in esame, la situazione cambierebbe?

«C’è una totale discrezionalità da parte dei comuni e l’autonomia scolastica non fa che aggravare questa situazione. Ogni amministrazione può decidere di comportarsi come vuole nell’ambito delle linee dettate dalla legge. Le scuole possono decidere, sulla base delle indicazioni dei comuni, dove far mangiare i bambini oppure quale trattamento offrire ai ragazzi i cui genitori non hanno pagato la mensa. Alcuni bambini ci hanno raccontato che mangiano in classe e che anche secondo loro non è un luogo adatto. La nostra richiesta è che questa discrezionalità venga sospesa e che la mensa diventi un servizio essenziale, garantendo la gratuità di accesso per tutti i minori in povertà».

Secondo le vostre indagini la situazione è allarmante?

«Allarmante no, perché abbiamo trovato delle situazioni catastrofiche, ma altrettante brillanti. In particolare un progetto a Torino in cui alcuni senza fissa dimora vengono invitati a mangiare a mensa con i bambini, all’interno di uno scambio intergenerazionale. Sicuramente ci sono spazi di miglioramento e altri in cui la situazione è più grave, come per i sei comuni che non prevedono nessuna esenzione dal pagamento per le famiglie in disagio economico, o tutte quelle amministrazioni che hanno trattamenti differenziati a seconda della residenza dei genitori. Una mamma su tre ha risposto alle nostre domande dicendo che non avere il servizio di mensa significa non poter lavorare o non poter cercare un nuovo lavoro. Come Save the Children siamo contenti che il rapporto abbia destato interesse, speriamo si possa diffondere una cultura di buone prassi. Detto questo serve un intervento di tipo legislativo che possa eliminare le discriminazioni».

Images ©iStockphoto.com/paulprescott72