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Dibattito in Irlanda del Nord sulle unioni fra persone dello stesso sesso

L’Irlanda del Nord dice prima si e poi no alle unioni fra persone dello stesso sesso.

Il si arriva dal parlamento di Belfast che lunedì ha approvato con un margine risicatissimo, 53 a 52, una legge che regolamenta il matrimonio omosessuale e lesbico, sulla scia di quanto deciso dai cugini irlandesi nello storico referendum dello scorso giugno.

Il no arriva da una legge, o meglio una clausola, la “petition of concern”, creata per stoppare norme considerate pericolose per una pacifica convivenza fra cattolici e protestanti, in una terra dove il conflitto religioso mantiene picchi di tensione elevatissimi, sebbene sembrano lontani gli anni delle bombe dell’Ira. A tale clausola si è appellato il Dup, partito unionista, di maggioranza nella piccola nazione, legato al mondo evangelico protestante.

La mozione era stata presentata dai partiti Sinn Fein e Sdlp, storicamente legati ai cattolici progressisti, sebbene i vescovi cattolici fossero entrati coi piedi nella discussione parlamentare con una lettera aperta in cui si ricordavano le radici del matrimonio che sono quelle dell’unione di un uomo e di una donna.

Come sottolineato giustamente da un comunicato dell’associazione Amnesty International stiamo assistendo all’utilizzo di una clausola creata per tutelare le minoranze, che servirà però paradossalmente per discriminarne altre, quelle lgbt.

La “petition of concern” prevede che siano necessari il 60% dei voti parlamentari con una componente di almeno il 40% degli eletti di entrambe le comunità perché la norma possa entrare in vigore. Per cui il voto andrà ripetuto, e sarà la sesta volta in pochi anni.

Tanta fatica per nulla.

Foto di torbakhopper via Flickr | Licenza CC BY-ND 2.0