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Io so

«Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974….
Io so ma non ho le prove….
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico – non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento – deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi».

Pasolini, intellettuale a tutto tondo, è stato anche un grande giornalista. Di analisi e di inchiesta. Il brano citato è uno spezzone del celebre articolo che lo scrittore friulano pubblicò sul Corriere della Sera l’8 novembre 1974, e che anticipava i contenuti del suo ultimo romanzo rimasto incompiuto, “Petrolio”, che in forma letteraria si addentra nei gangli occulti che regolano la vita tutt’altro che democratica del nostro Paese.

Romanzo rimasto incompiuto, e proprio attorno al capitolo mancante, scomparso, ruotano molti dei misteri che si legano alla tragica morte all’idroscalo di Ostia nella notte fra l’1 e il 2 novembre di 40 anni fa.

Si perché le verità processuali che ritengono il ragazzo di vita Giuseppe “Pino” Pelosi quale unico autore del feroce pestaggio, oltre a non aver mai convinto quasi nessuno, sono oggi superate da nuove rivelazioni e da nuovi elementi probatori, fra cui le stesse ritrattazioni di Pelosi.

In particolare è nelle pieghe delle motivazioni della sentenza della Corte d’Assise di Palermo nel 2012, che assolve Salvatore “Totò” Riina dall’accusa di essere il mandante dell’omicidio del giornalista Mauro De Mauro, scomparso dal capoluogo siciliano la sera del 16 settembre 1970 e il cui corpo non è mai stato rinvenuto, che si ritrova un filo rosso che pare unire, andando a ritroso, la morte di Pasolini, quella di De Mauro e quella del presidente dell’ Eni Enrico Mattei, il cui aereo precipitò a seguito dell’esplosione di una bomba a bordo la notte del 27 ottobre 1962, come sancito sia dalle inchieste giudiziarie concluse nel 2005 che dallo stesso processo De Mauro.

Entrambi, Pasolini e De Mauro, stavano ficcando il naso con troppa determinazione nei misteri della morte di Mattei, ed entrambi arrivarono a toccare fili scoperti che non lasciano scampo: intrecci fra servizi deviati e mafia, massoneria e gruppi eversivi esteri, francesi e statunitensi in particolare.

Mattei, spregiudicato imprenditore di Stato, con il suo attivismo sulla scena economica mondiale stava tentando di affrancare l’Italia dalla dipendenza energetica dei grandi gruppi petroliferi internazionali. Le sue manovre destavano allarme a Parigi, Washington e Londra. Ma anche nei salotti nostrani, fra chi tramava nel silenzio ma con terribile pericolosità, vedendo come fumo negli occhi i disegni di rottura degli equilibri di potere che Mattei stava conducendo.

Fra questi il nome che ricorre con una periodicità inquietante è quello di Eugenio Cefis, potentissimo quanto misterioso dirigente Eni, successore di Mattei e suo indefesso detrattore. Sulle vicende di questo boiardo di Stato, che pochi mesi prima della morte di Mattei venne da questi costretto alle dimissioni da ogni incarico in Eni, è sempre stata stesa una pesante coperta: mai una foto, mai una notizia sull’uomo che un appunto del servizio segreto militare, il Sismi, rinvenuto dal pubblico ministero padovano Vincenzo Calia nel 1999, ritiene il vero ideatore e grande manovratore della loggia massonica P2. E a questo giudice che si deve il merito di aver fornito prospettive nuove sulle motivazioni che hanno spinto un gruppo di potere a fare scempio totale del corpo dello scrittore. Con un certosino lavoro filologico Calia confronta gli appunti della bozza di Petrolio con un testo semiclandestino edito nel 1972 e subito ritirato relativo alla vita per così dire spericolata di Cefis. Testo ripreso in maniera quasi letterale da Pasolini, che cambia nomi a personaggi e società, luoghi e riferimenti, ma per il resto si ispira in toto a questa biografia certo non autorizzata e per l’appunto presto sparita dalla circolazione.

De Mauro, ingaggiato dal regista Francesco Rosi per la sceneggiatura del film dedicato proprio alla morte di Mattei, per primo sarebbe venuto in possesso di notizie sconcertanti, che ne legavano la morte proprio a Cefis, capofila di un ampio e trasversale schieramento che aveva tutto l’interesse a mantenere lo status quo. In ballo interessi economici e politici enormi ruotanti attorno al petrolio, non a caso l’oro nero. Troppo vicino alla verità quel giornalista ficcanaso, e anche questa oggi è certezza processuale. E troppo vicino alle verità pochi anni dopo ci sarebbe andato anche Pier Paolo Pasolini, interessatissimo, per non dire ossessionato dalla figura di Cefis e dai fili eversivi di una destra neofascista e bombarola che costui pareva manovrare.

Ed ecco che in Petrolio il protagonista, Aldo Troya, è l’alter ego proprio di Cefis che nelle pagine del romanzo «sta per essere nominato presidente dell’Eni, anche se questo implicherà la soppressione del suo predecessore». Pasolini studia carte, viene in possesso di documenti esplosivi, rilascia interviste ai giornali in cui rivela che Petrolio conterrà tutto quanto da lui appreso in relazione alla strategia della tensione, alle bombe, ai tentativi di copi di Stato.

Troppo.

Quando Pelosi nel 2005 ritratta la propria confessione, una volta rassicurato dalla certezza della morte di tutti i protagonisti della vicenda, fa i nomi di altre persone presenti, tre per la precisione, ad Ostia quella notte del 2 novembre 1975: picchiatori fascisti con precedenti per violenze e ricettazioni. La manovalanza. Er braciola ed er bracioletto, nomi da fiction, ma non bastano. A ben guardare sono gli anni a mischiare i ricordi, confondere idee e pensieri. Subito dopo la morte di Pasolini infatti si seguì con forza la pista nera, e saltarono già fuori i nomi in questione. In particolare nel processo di appello a carico di Pelosi e ignoti del 1976 depone un carabiniere infiltrato, Renzo Sansone, che racconta di aver ottenuto la confessione dai due soggetti di cui sopra, ma la procura soprassiede. Le coperture erano ad alte livello, se senza uno straccio di un alibi, i due uscirono dall’inchiesta per non farvi mai più ritorno.

E a ben vedere nelle ore immediatamente successive emergono molti altri particolari che il processo cancellerà. E’ un giovanissimo Furio Colombo il primo giornalista a giungere sul posto e ad intervistare gli abitanti delle baracche circostanti (all’epoca, prima delle bonifiche almeno 250 mila persone vivevano fra Roma e Ostia in aree di degrado totale), raccogliendo testimonianze che parlano di presenze di molte persone, almeno 6 o 7, urlanti e scalcianti nel silenzio della notte. E le stesse recenti perizie sui vestiti di Pasolini, rese possibili dall’avanzare tecnologico, evidenziano la presenza di ben 5 profili genetici differenti. Un bel traffico.

Per non parlare delle ultime risultanze emerse dall’analisi delle fotografie scattate la mattina del 2 novembre da polizia e giornalisti: fra gli accorsi sul luogo del delitto si possono scorgere alcuni personaggi che di lì a poco sarebbero saliti alla ribalta delle cronache, ma che già in quel 1975 erano personaggi noti, per lo meno alle forze dell’ordine: Maurizio Abbatino, il “freddo” del romanzo e della fiction “Romanzo Criminale”, Nicolino Selis, altro componente della futura banda della Magliana, Massimo Barbieri, malavitoso. Foto-ricordo con il morto, tutti incuriositi attorno a quello che era in fondo un evento, o queste persone hanno avuto un qualche ruolo?

Resta un mistero chi ordinò di porre fine all’esistenza di un grande intellettuale del novecento. Anche se oggi, grazie all’ostinato lavoro di alcuni inquirenti, bagliori di verità si scorgono in fondo al tunnel dei silenzi complici. Tanto che potrebbe addirittura venire istituita una commissione parlamentare ad hoc, come richiesto da più parti, e questo è uno dei massimi sigilli che vanno a sancire l’importanza che ancora oggi si ritiene il caso ricopra.

Foto di Denis Bocquet via Flickr | Licenza CC BY 2.0