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La ricchezza del Congo è anche la sua disgrazia

Una leggenda vuole che Dio, mentre stava creando il mondo, si sia inciampato nel Kilimangiaro e il sacco pieno di minerali che aveva sulla testa si sia rovesciato sul Congo. In effetti, questo paese è particolarmente ricco di minerali preziosi, ma questa ricchezza nel corso dei decenni è diventata una disgrazia, attirando gli interessi di quasi tutti i paesi occidentali, interessati a imporre il proprio controllo sull’estrazione delle risorse, e arrivando a supportare i conflitti e a finanziare i guerriglieri per tenere bassi i costi di estrazione.

John Mpaliza è un cittadino congolese arrivato negli anni Novanta in Italia, dove si è laureato in ingegneria informatica. Non è più tornato a casa fino al 2009 e quello che ha trovato l’ha cambiato profondamente: il paese era distrutto, privo di scuole, ospedali e infrastrutture, tutto sacrificato in nome dell’estrazione dei preziosi minerali che si trovano nel sottosuolo e di uno in particolare, il coltan. John Mpaliza ha deciso di cominciare una campagna di sensibilizzazione per informare il mondo su quanto sta accadendo nel suo paese attraversando l’Europa a piedi ed è tornato in Italia in questi giorni.

Che cos’è il coltan?

«La columbite–tantalite, abbreviato coltan, è un minerale particolare, che serve per tutta la tecnologia ma in particolare per la telefonia. Questo minerale particolare è causa di morte per più motivi: innanzitutto perché è leggermente radioattivo e i bambini che hanno lavorato come minatori oggi, dopo anni di esposizione, stanno morendo di cancro e leucemia; altra causa di morte sono i crolli nelle miniere. Ma il fattore più inquietante legato a questo minerale sono le multinazionali che per poter ottenere il coltan, che in Congo costa molto meno che altrove, portano il paese in una situazione di instabilità. Tutte le guerre oggi sono economiche, fatte per poter prendere gratuitamente i minerali o l’energia; è stato dimostrato da rapporti delle Nazioni Unite e da organizzazioni internazionali, che le multinazionali usano parte dei proventi derivanti dalla vendita di telefoni, televisori e computer per finanziare le guerre in Congo, portano loro i mercenari, finanziano loro le guerriglie. Il coltan è qualcosa di irrinunciabile oggi per la tecnologia, perché senza torneremmo indietro di 10-15 anni. La parte più pregiata del minerale è il tantalio, che serve a realizzare i microcondensatori e ad aumentare la potenza riducendo al tempo stesso il consumo di elettricità nei dispositivi elettronici; in pratica ci permette di miniaturizzare la tecnologia».

Possiamo quindi escludere che quello che succede in Congo sia una guerra tra etnie?

«Questa è un’opzione da scartare. Abbiamo 450 etnie, per cui provate a immaginare una guerra etnica in Congo: sarebbero sufficienti 10 giorni per vedere tutto distrutto.

L’instabilità è cominciata nel 1996 e circa 20 anni di guerra hanno provocato 8 milioni di vittime, milioni di donne che hanno subito violenza come arma di guerra. Si dice che circa la metà di queste vittime siano da collegarsi alla tecnologia che abbiamo in tasca e al coltan. Quando sono tornato ho deciso che era necessario parlare di quello che sta succedendo alle persone e quindi sono partito, ho lasciato tutto e ho cominciato a organizzare delle marce a piedi per raccontare questo dramma, soprattutto ai giovani e nelle università, perché penso che una volta che tutti noi ci saremo resi conto di essere parte di questo dramma potremo trovare qualche soluzione. Il problema è che per le multinazionali l’ignoranza dei consumatori è una cosa positiva per continuare a non pagare, prendere gratuitamente e a guadagnare tanto. Negli ultimi tre anni il messaggio ha attirato moltissimi ascoltatori, non solo nelle scuole, nelle università o nelle chiese, ma anche tra le istituzioni».

Quanto è durata la sua marcia?

«Era il 2009 quando sono tornato a casa trovando una situazione insostenibile. Le persone non sapevano più cosa fare e io non potevo stare in silenzio, così sono tornato in Europa e ho cominciato a camminare. Nel 2010 ho fatto il cammino verso Santiago de Compostela, un viaggio che mi ha cambiato molto, poi nel 2011 da Reggio Emilia sono andato fino a Roma verso il Parlamento e il Senato italiano. Nel 2012, sempre da Reggio Emilia, con tantissime persone ho raggiunto Bruxelles, incontrando anche il parlamento europeo a Strasburgo. Abbiamo chiesto una legge sulla tracciabilità delle risorse, una legge alla quale si sta lavorando perché le aziende siano costrette a dimostrare tappa dopo tappa dove prendono i minerali e dove mettono i soldi.

È un iter lungo e difficile e non possiamo pensare che con una marcia cambi tutto, ma una buona notizia c’è: il 20 maggio di quest’anno il Parlamento europeo ha finalmente votato questa legge sulla tracciabilità obbligatoria. Rimane il problema che la legge per diventare applicabile deve essere ratificata dai 28 paesi della comunità europea, ma è comunque un primo passo. Il risultato del 20 maggio al Parlamento europeo non sarebbe stato possibile senza le persone che abbiamo incontrato in questi tre anni, che hanno aderito alla petizione e hanno scritto alle istituzioni. È la gente che ha fatto sì che questa legge fosse votata, senza di loro forse la legge sarebbe stata votata lo stesso ma con la clausola della tracciabilità volontaria, quindi di fatto annullando il senso di quello che stavamo facendo. Invece in un mese in Italia e in Europa tanta gente si è messa in moto e addirittura a tre giorni dal voto non si pensava che il risultato sarebbe stato possibile. Il 20 maggio abbiamo festeggiato la vittoria di questo primo round, ora continueremo a camminare e a informare chiunque voglia sentire».

Torniamo ancora in Congo, perché negli ultimi anni si è parlato in particolare del conflitto in corso in Nord Kivu, nell’estremo est del paese. Una zona di confine a cui tutte le varie potenze regionali sono interessate. Anche qui c’entrano le risorse naturali?

«Il Kivu era una regione unica che è stata divisa tra il 1996 e il 1997 con l’ingresso delle forse armate ruandesi. Oggi il conflitto in queste regioni c’è ancora ed è tutto legato al controllo e all’estrazione delle risorse minerarie.

Purtroppo il Congo è una miniera a cielo aperto. Il coltan è una sabbia che viene raccolta, quando finisce la sabbia si sgretolano le rocce, quando finiscono le rocce si comincia a scavare.Tutti i minerali presenti sono estratti sotto il controllo armato delle milizie e dei ribelli che controllano tutto. L’esportazione avviene illegalmente tramite i paesi vicini, ovvero il Ruanda e l’Uganda, paesi nei quali le multinazionali aspettano l’arrivo del prodotto insieme alle banche europee».

Quali sono le principali potenze che influenzano la situazione in Congo e qual è la portata dell’influenza cinese?

«Sarebbe ora che l’Europa ammettesse di aver sbagliato sfruttando per secoli questo continente. Il Congo è stato per molto tempo una colonia belga, ma non è solo il Belgio a mangiare: ci sono americani, inglesi, francesi, italiani, praticamente tutta l’Europa. In più ci sono potenze ancora più forti che stanno crescendo: quelle dei paesi definiti BRICS, ossia Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, le maggiori economie emergenti. In particolare, la Cina sta comprando gran parte dell’Africa, dalle terre ai posti in cui c’è l’acqua dolce, fino alle miniere. In tutto questo la nostra responsabilità è quella di avere funzionari e governatori che si fanno corrompere da queste economie. Per questo la prossima marcia sarà in Africa, perché il cambiamento vero dovrà avvenire li».

Foto via Facebook