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Diaconia e accoglienza, questo ci colpisce della vostra realtà

Una delegazione della Chiesa di Scozia ha visitato ufficialmente, nelle settimane scorse, la Chiesa valdese italiana. 

Tratto da chiesavaldese.org

La Chiesa di Scozia è una grande chiesa riformata (di tradizione calvinista dal punto di vista teologico e presbiteriana per quanto riguarda l’aspetto organizzativo) che conta oggi oltre 400.000 membri e 800 pastori. Diversamente dalla Chiesa d’Inghilterra, la Chiesa di Scozia non è una chiesa di Stato; gode infatti di una totale indipendenza da quest’ultimo per quanto concerne le questioni spirituali. La delegazione, composta dal moderatore Angus Morrison, accompagnato dalla moglie Marion, e dal pastore Ian Alexander, segretario del Consiglio per la missione mondiale dei presbiteriani scozzesi ha conosciuto i diversi aspetti dell’opera e della testimonianza della minoranza protestante italiana: il programma di pastorale interculturale per l’integrazione degli stranieri evangelici, l’accoglienza dei rifugiati e dei migranti, la formazione, la diaconia e le sue opere sociali, la cultura e la storia. Tra i numerosi incontri avvenuti va ricordato anche quello con monsignor Brian Farrell che ha accolto la delegazione in Vaticano, presso il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Un lungo viaggio che ha avuto come tappe Roma, la Sicilia, Brescia per poi concludersi nelle Valli valdesi del Piemonte dove la delegazione ha incontrato il moderatore della Tavola Valdese, pastore Eugenio Bernardini. Al termine di questa visita, che ha visto un risaldarsi dei legami storici tra le due chiese sorelle appartenenti alla famiglia protestante riformata, abbiamo rivolto al moderatore Morrison alcune domande.

Siete giunti al termine di una visita lunga e ricca di incontri e testimonianze. Quali aspetti del lavoro della Chiesa valdese italiana vi sono sembrati più rilevanti e stimolanti?

«Sono rimasto colpito dall’impegno della Chiesa valdese nella cura dei più poveri e bisognosi. Abbiamo toccato con mano questo lavoro in Sicilia, grazie all’opera del Servizio cristiano di Riesi e, in modo particolare, visitando il progetto della Federazione delle chiese evangeliche in Italia denominato Mediterranean Hope. La Casa delle culture di Scicli, che di questo progetto fa parte, offre un sostegno pratico e profondamente caritatevole nei confronti dei giovani migranti. Anche il vostro impegno ecumenico per la creazione di “corridoi umanitari”, finanziato con i fondi Otto per Mille, ci è parso interessante e degno di nota. A Brescia abbiamo poi avuto modo di vedere concretizzato il vostro impegno per essere chiesa insieme, il programma per costruire chiese sempre più multietniche e integrate. Abbiamo molto da imparare da questa esperienza. Infine, non posso non nominare il settore diaconale da cui abbiamo tratto stimoli e linee guida importanti».

Oltre alla dimensione diaconale e sociale, che è ormai un tratto distintivo della nostra minoranza italiana, quali sono gli altri aspetti che ci affratellano come chiese e che rinsaldano i nostri antichi legami?

«La nostra visita alla Facoltà valdese di teologia di Roma, dove abbiamo ascoltato i vostri metodi di formazione in vista del pastorato, ci ha fatto riflettere sulla possibilità di favorire scambi di breve o più lungo periodo tra gli studenti in teologia e i pastori delle nostre due chiese. Sarebbe certamente un beneficio per entrambi poter confrontare e approfondire aspetti delle reciproche formazioni».

La Chiesa di Scozia non è una chiesa di stato ma, a differenza della nostra, non è una chiesa di minoranza. Questa caratteristica peculiare aiuta a fronteggiare la diminuzione dei membri di chiesa? 

«Una delle caratteristiche principali della Chiesa di Scozia, in quanto “chiesa nazionale”, è il suo impegno a favore di un ministero territoriale capace di coprire ogni angolo del paese, in cui ci si prenda cura di ogni singola comunità e degli individui che le compongono. Con la diminuzione delle risorse, sia umane che finanziarie, questo sistema rischia di entrare in crisi. Stiamo dunque esplorando, a fianco di quelli più tradizionali, nuovi modi ed espressioni di essere chiesa che saranno tutti da verificare sul campo. Dobbiamo essere aperti allo Spirito che ci guida in questo come in ogni altro campo della vita della chiesa».

Con il referendum del 18 settembre 2014 la Scozia scelse di rimanere parte integrante del Regno Unito. Come hanno vissuto le Chiese questo processo? Qual è stato il loro ruolo?

«La Chiesa di Scozia scelse di rimanere neutrale ma di impegnarsi nel processo. Penso che abbia fatto due cose significative. La prima è stata quella di promuovere un dialogo rispettoso (cosa molto importante soprattutto quando sono insorte delle tensioni a fine campagna elettorale), capace di aiutare entrambe le parti a ritrovare ciò che avevano in comune. Ciò ci ha permesso altresì di ricordare che quello che stava avvenendo era un esempio importante di democrazia (la partecipazione è stata dell’85%). La seconda è avvenuta tramite una riflessione che abbiamo messo in atto sul tema “Immaginando il futuro della Scozia”. Questo confronto ha permesso alle persone di andare oltre la logica binaria riflettendo più in generale su quale tipo di paese si fosse desiderato. Penso che questa riflessione sia stata utile per ridisegnare il dibattito ed essa è continuata anche dopo il referendum».

 Foto da church of scotland