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Cristiani divisi alla mensa di Gesù

(Paolo Tognina) Negli ultimi anni si sono moltiplicate le voci di coloro i quali ritengono che tra cattolici ed evangelici siano maturi i tempi per forme di ospitalità eucaristica che escano dalla clandestinità nella quale sono state tenute finora. In Svizzera, nell’estate del 2014, questa convinzione ha portato un gruppo di pastori riformati e sacerdoti cattolici, riuniti nell’associazione Symbolon, ad annunciare pubblicamente di volere celebrare insieme l’eucaristia o cena del Signore in occasione di una cerimonia ecumenica pubblica a Gfen, nel Canton Zurigo. L’iniziativa è poi naufragata, in seguito a non meglio specificate “pressioni dall’alto”, e si è risolta in un mesto annuncio, fatto dagli organizzatori del culto ecumenico, dell’impossibilità di celebrare la comunione tutti insieme.

La mensa divisa

Il caso ha messo in luce, ancora una volta, le divergenze esistenti in materia di ospitalità eucaristica tra esponenti della base cattolica – e alcuni sacerdoti e forse anche vescovi -, e magistero cattolico. A ribadire questa situazione ci ha pensato, nel novembre dello scorso anno, il vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, Charles Morerod, pubblicando un testo – “Réflexions sur l’eucharistie dans un contexte oecuménique” – apparso sul sito ufficiale della sua diocesi. Il vescovo Morerod ha ribadito che protestanti e cattolici non possono accostarsi alla medesima mensa eucaristica perché le concezioni teologiche relative al significato della cena del Signore espresse dai protestanti sarebbero troppo diverse da quella cattolica e nel protestantesimo non esisterebbero sacerdoti correttamente ordinati e dunque in grado di amministrare validamente il sacramento.

La questione della comune partecipazione di tutti i cristiani all’unica mensa del Signore è un nodo ecumenico irrisolto “e non sembra che la sua soluzione sia alle porte”, fa notare il teologo cattolico Brunetto Salvarani nel suo recente “Non possiamo non dirci ecumenici” (Gabrielli, 2014). Il pastore valdese Paolo Ricca, intervenendo sullo stesso argomento dalle pagine del settimanale protestante italiano “Riforma”, parla addirittura di una situazione di “apartheid eucaristico” denunciando il fatto che proprio la cena che Gesù ha celebrato per unire i discepoli a sé e tra di loro, segno e strumento di unità e comunione, è diventata nelle mani dei cristiani, “occasione e ragione di dispute infinite, reciproche scomuniche, perduranti divisioni”.

Protestanti e cena del Signore

Nel protestantesimo, la cena del Signore è stata oggetto di vivaci dibattiti già a partire dalla Riforma del 16. secolo. Su di un punto tutti i riformatori sono concordi, e cioè che nella cena Cristo è realmente presente. Nessuno dei riformatori ha mai sostenuto l’assenza di Cristo. Il problema è però costituito dal modo in cui tale presenza si realizza.

Per Lutero la cena è ”parola di Dio fatta pane”. Per esprimere la propria posizione, il riformatore di Wittenberg usa il termine “consustanziazione”, adoperato anche da molti teologi medievali: tutto il Cristo, natura divina e natura umana, è nel pane e nel vino. Zwingli obietta che il corpo di Cristo è asceso in cielo e dunque il pane resta pane e il vino vino. Secondo il riformatore di Zurigo – che non vuole ricadere nella dottrina romana della transustanziazione -, Cristo è presente, ma in Spirito nella comunità che celebra il memoriale. A Marburgo, nel 1529, Lutero e Zwingli si dividono sul modo di intendere la presenza di Cristo nella cena.

A Ginevra, qualche anno dopo, Calvino propone una terza via: il Cristo è presente nello Spirito, e in forza dello Spirito il dono di grazia legato anche alla carne di Cristo è offerto nel pane e nel vino della cena. In tal modo, in forza dello Spirito e della Parola predicata, gli elementi presentano “la vera, ma spirituale comunicazione del suo corpo e del suo sangue” (“Catechismo di Ginevra”, 1537). Non si tratta, come qualcuno potrebbe pensare, di contrapporre una presenza “spirituale” a una presenza reale, perché nulla è più reale – secondo il pensiero del riformatore di Ginevra e secondo tutta la teologia cristiana – dello Spirito di Dio.

Da Marburgo a Leuenberg

Il protestantesimo ha impiegato quasi cinque secoli per lasciarsi alle spalle i contrasti e le divisioni scaturite dallo scontro sulla cena del Signore. Solo nella seconda metà del 20. secolo, finalmente, luterani e riformati hanno riconosciuto che le loro divergenze nell’interpretazione della cena non impediscono alle chiese di accogliere, insieme, quello che tutte riconoscono come dono del Signore. La Concordia di Leuenberg, firmata nel 1973, nei pressi di Basilea, ha sancito il ristabilimento della comunione di mensa tra luterani e riformati sulla base della comprensione comune della cena.

“Le divergenze che dal tempo della Riforma in avanti resero impossibile una piena comunione tra le chiese luterane e riformate, e sfociarono in condanne reciproche”, recita il testo della Concordia, “riguardavano la dottrina della santa cena, la cristologia e la dottrina della predestinazione. Prendiamo sul serio le decisioni dei Padri, ma oggi possiamo dire insieme quanto segue: Nella santa cena Gesù Cristo risorto si dona nel suo corpo e nel suo sangue dati per tutti, attraverso la parola della sua promessa, con pane e vino. Così egli dà se stesso senza riserve a tutti coloro che ricevono il pane e il vino: la fede li riceve per la salvezza, l’incredulità per il giudizio. Non possiamo separare la comunione con Gesù Cristo nel suo corpo e nel suo sangue dall’atto di mangiare e bere. Un interesse circa il modo in cui Cristo è presente nella santa cena, che prescinda da questo atto, corre il rischio di offuscare il senso della Cena. Dove, tra chiese, esiste questo consenso, le condanne contenute nelle confessioni di fede della Riforma non colgono la posizione dottrinale di queste chiese. (“Concordia di Leuenberg”, articoli 17-20).

La grazia e la teologia

Riassumendo il cammino compiuto da Marburgo a Leuenberg, si può dire che la grande intuizione del protestantesimo – emersa faticosamente, ma oggi riconosciuta chiaramente – è questa: il dono di grazia e comunione di Dio è più grande e importante della teologia delle chiese sulla modalità della presenza di Cristo. Questo principio ha permesso al protestantesimo di superare le proprie divergenze interne e potrebbe costituire un’ottima base anche per appianare molti ostacoli esistenti tra protestanti e cattolici. Ma il rifiuto cattolico romano non si basa più, oggi, in primo luogo, sulle divergenze interpretative, bensì su di un’altra questione, e cioè sulla domanda: chi deve presiedere la cena? La risposta cattolica romana è la seguente: può presiedere l’eucaristia soltanto un sacerdote ordinato da un vescovo legittimamente riconosciuto – dalla chiesa cattolica – come tale. Se non c’è il vescovo cattolico romano non c’è eucaristia. Evidentemente questo è un vicolo cieco dal quale difficilmente sarà possibile uscire in tempi brevi.

Domanda alla prassi protestante

In molte chiese protestanti la cena non viene celebrata tutte le domeniche. La prassi tradizionale prevedeva quattro celebrazioni annuali: Natale, Pasqua, Pentecoste e la prima domenica di settembre. Da qualche anno in alcune chiese è stata introdotta una cadenza mensile. A favore di una maggiore frequenza della celebrazione della cena depone, secondo alcuni, la seguente domanda: se di fatto la Parola di grazia di Dio si manifesta nella Parola biblica e nel pane e nel vino condivisi – oltre che, naturalmente, nel battesimo -, non sarebbe giusto considerare la celebrazione della cena del Signore come parte, anzi come dimensione, del culto domenicale “normale”?

Il pastore valdese Paolo Ricca – moderatamente favorevole a una celebrazione domenicale della cena del Signore -, intervenendo sulla questione, ha osservato: “Il problema principale, riguardo alla cena, non è la frequenza maggiore o minore della sua celebrazione, ma la qualità del rito e della nostra partecipazione. Importante non è quante volte, ma in che modo la si celebra. Se la si celebra male, è peggio (e non meglio) moltiplicarne le celebrazioni. La celebrazione della cena come avviene, di solito, nelle nostre chiese (ma purtroppo non solo nelle nostre) lascia molto a desiderare. Che essa abbia un gran bisogno di rinnovamento è impressione diffusa e condivisa da molti. Ma a questo tema si dedica nelle chiese poca attenzione, mentre ne meriterebbe molta.

Ospitalità eucaristica

Ricapitolando la situazione dell’ospitalità eucaristica – prassi sviluppatasi nel corso del 20. secolo e adottata oggi da ampi settori del protestantesimo -, il quadro si presenta piuttosto differenziato.

Le chiese evangeliche riformate hanno recepito, oltre cinquant’anni fa, l’appello lanciato dall’Alleanza riformata mondiale che nella sua assemblea generale di Princeton, nel 1954, ha raccomandato l’ammissione alla mensa del Signore di “ogni persona battezzata che ama e confessa Gesù Cristo come Signore e Salvatore”. La medesima posizione è condivisa dalle chiese che fanno parte della Comunione anglicana mondiale: quelle chiese praticano la cosiddetta comunione aperta (open communion), cioè accolgono alla loro mensa tutti i cristiani battezzati che partecipano alla vita liturgica della loro chiesa. Riformati, luterani e altri evangelici che hanno sottoscritto la già citata Concordia di Leuenberg, condividono dal 1973 la cena del Signore. Più difficile descrivere ciò che succede nel variegato mondo delle chiese libere, evangelicali o pentecostali. Il movimento è di tipo congregazionalista, sottolinea cioè l’autonomia delle singole parrocchie ed è difficilmente riconducibile a un’autorità di tipo sinodale: ogni comunità locale regola da sé questa e altre questioni relative al funzionamento della chiesa. In generale, si può osservare che molte chiese hanno adottato la prassi della reciproca ospitalità eucaristica.

La chiesa cattolica e le chiese ortodosse rifiutano, come detto, l’ospitalità eucaristica, cioè non accolgono alla loro mensa cristiani di altre chiese praticando, di fatto, la scomunica nei confronti dei non cattolici e dei non ortodossi.

Ostacoli e prospettive

Nella visuale protestante, l’attenzione si è spostata – dopo un lungo processo di riflessione – dal problema del modo in cui Gesù Cristo è presente nell’eucaristia al dono che la cena costituisce per la chiesa. Questo non significa smettere di riflettere sulla presenza del Signore, ma smettere di pretendere che la propria particolare comprensione di quella presenza sia l’unica possibile e legittima. Significa anche – come detto in precedenza – porre l’accento sul dono di grazia e comunione di Dio e intendere perciò la cena come un evento al quale Dio – e non la chiesa, sebbene per suo mezzo – invita tutti, secondo i suoi criteri di misericordia, perdono e inclusione.

Va da sé che il protestantesimo ignora – come del resto fa anche il Nuovo Testamento – la questione della presidenza dell’eucaristia, divenuta invece discriminante per il cattolicesimo romano e l’ortodossia. Al protestantesimo è estranea anche la concezione cattolica – e ortodossa – secondo cui la comunione eucaristica sarebbe espressione della piena comunione ecclesiale, ritenuta possibile solo fra chiese che abbiano la stessa fede, lo stesso sacerdozio e gli stessi sacramenti. Oggi alcuni protestanti suggeriscono di considerare la cena, celebrata insieme da tutti i cristiani, senza distinzioni, come un punto di partenza di un cammino verso l’unità nella diversità e non come un punto di approdo, al termine di un percorso che, per certi versi, potrebbe essere definito di omologazione e uniformizzazione.

Foto “5898 – Bönigen – Brienzersee” by Andrew BossiOwn work. Licensed under CC BY-SA 2.5 via Commons