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Solo l’uomo libero fa le regole

Doctor Martinus. Studi sulla Riforma (Claudiana, 2015, pp. 253, euro 19,50) è il volume con il quale Sergio Rostagno, in vista delle celebrazioni del 2017, affronta sotto alcune nuove piste di ricerca la genesi e lo sviluppo del pensiero di Lutero, ma soprattutto il formarsi di un’idea nuova e diversa del rapporto tra uomo e Dio e tra uomo e Chiesa, e anche un’idea nuova di teologia. Quest’ultima, dopo Lutero, non sarà più un «discorso elevato al di sopra del pensiero», ma sarà un «annuncio che coinvolge chi lo riceve e ne fa un soggetto rispondente».

I capitoli lungo i quali si articola il libro definiscono bene le tappe di questa rivoluzione: «Lutero e l’Europa»; «Scrivendo e insegnando (dal 1512 al 1520)»; «Il credente soggetto di libertà»; «I due versanti del Trattato sulla libertà»; «Doctor Martinus». Alla fine di quest’ultimo capitolo (e prima di alcuni testi di Lutero, Melantone e Brenz posti in appendice) l’autore pone alcuni interrogativi che non mancheranno di coinvolgere le chiese protestanti italiane. Interrogativi che riguardano l’essere chiesa, ma anche e forse soprattutto il ruolo dei credenti nella società e nel mondo: «Chi è il soggetto che Dio farà entrare nel futuro? Chi è degno di entrare nella terra promessa? Per i teologi del XX secolo il problema della storia era centrale (…) Nel XXI secolo la terra promessa non è più il cielo o il paradiso, ma è semplicemente il futuro del pianeta e dell’umanità»: saremo pronti a confrontarci con questa urgenza? Abbiamo un anno per prepararci a vivere una scadenza importante.

Il 31 ottobre dell’anno prossimo cadrà a ridosso dell’anno celebrativo del 500° anniversario dell’affissione delle 95 tesi da parte di Lutero, e dunque, per convenzione, dell’avvio della Riforma. In quelle settimane sarà già stata messa in opera una complessa macchina celebrativa; le riflessioni che la devono necessariamente precedere partono però da lontano. Per esempio dai corsi organizzati nel corso del 2014-2015 dal Centro culturale valdese e dalla chiesa valdese di Pinerolo. Sergio Rostagno ne era stato uno degli animatori, ed è anche autore del libro Doctor Martinus. Studi sulla Riforma (Claudiana, 2015), in cui cerca di indagare con un taglio nuovo il nascere del pensiero di Lutero e tutto quel che ne seguì. A lui abbiamo rivolto alcune domande.

Lutero è stato spesso dipinto come un ribelle, dal suo libro appare come un credente che non cessa di porre e porsi domande: anche per questo rappresenta un punto di svolta verso la modernità?

«Lutero ha voluto isolarsi mettendosi fuori dal coro con tutti i suoi paradossi. Ma infine ha ottenuto quel che voleva: un deciso passo in una direzione nuova. Lo ha ottenuto, dico, con dei paradossi, con delle rigorose distinzioni, portate in un senso fino alla rottura, e poi in senso opposto lasciate alla ricomposizione. In prevalenza Lutero ha pensato alla rottura; sono i suoi amici, sono gli altri riformatori europei che, pur restando fermi nei punti di partenza, hanno poi dato corso alla ricomposizione, qualche volta con malumore di Lutero stesso. Queste due dimensioni spiegano abbastanza bene il corso della Riforma del Cinquecento».

Lei scrive che Lutero «non fonda il rapporto con Dio sulla santità, ma sul peccato dell’essere umano» (p. 55): in che modo possiamo dare un volto positivo a quello che, forse sbrigativamente, viene definito pessimismo antropologico?

«Non sono parole mie. Le ho prese da un autorevole interprete luterano moderno. La libertà dell’uomo per Lutero non era fondata sull’innalzamento dell’ego umano o sulla sua umiliazione preventiva, ma sul coraggio di contrapporre nella stessa persona due pensieri in conflitto fra loro, inesorabilmente uniti attraverso la loro diversità. La libertà non era nella natura, né nell’uomo come tale: poteva essere pensata e realizzata soltanto nella violenza dell’antitesi. Goethe ebbe, in prossimità del 1817, percezione di questo scenario. Egli come molti altri avrebbe preferito un andamento più calmo, ma riconosceva che l’istanza tipica di Lutero stava nella contrapposizione tra nozioni elementari, senza alcuna mediazione possibile. Lutero usciva da queste mediazioni, le odiava. Non sopportava né a destra né a sinistra chi da un lato restava ancora indietro e chi dall’altro andava troppo avanti. Lui ha già portato l’uomo con tutte le sue doti naturali in una zona di libertà da cui non si torna indietro. Chi resta indietro si lamenta perché non vede i risultati sperati mentre chi va troppo avanti crede che i propri atti mostrino il suo cristianesimo. Entrambi rinchiudono l’uomo nell’esigenza del dovere e del fare e piangono se non riesce oppure lo illudono sulle sue capacità. Altri ancora gli impongono ulteriori regole e gravami. Le regole invece l’uomo libero se le impone da sé e sono unicamente regole efficaci nel rispetto degli altri e nella collaborazione con loro. Non le regole fanno l’uomo libero, ma l’uomo libero fa le regole. Fa le regole insieme con gli altri, per sé e per gli altri. In prospettiva, è tutta una nuova concezione della libertà e dell’etica».

In che modo, allora, possiamo vedere un rapporto tra libertà dell’uomo e giustizia? Anzi, quale rapporto fra giustizia umana e giustizia in Cristo?

Prima domanda. Dove si fonda la soggettività trascendentale dell’ego? Lutero è convinto che questa sia un evento, non una proprietà innata o un metodo adattabile al perseguimento di un fine. Qui sta la sua forza. Lutero non formula il suo pensiero come un ragionamento, ma come contrapposizione rigorosa del peccato e della grazia (o comunque si voglia dire con altre parole). L’essere umano vive nel riconoscimento di tale evento, e ovviamente, ma in subordine, dovrà trarne delle conseguenze.

Seconda domanda: dove si vede che l’uomo è libero? Non lo si vede, lo si crede e basta. La visibilità è solo data dai fatti e i fatti sono complicati, difficili. Se c’è un punto sul quale Lutero non ha mai voluto concedere nulla, questo punto è la differenza tra libertà e servizio, corrispondenti alla “giustizia” in Cristo e la “giustizia umana”. Volerle fondere insieme è l’oggetto della sua protesta. La loro distinzione è la sua forza. Entrambe sono l’essenza stessa dell’uomo, solo che una è reale, quella in Cristo, l’altra è provvisoria, in divenire, relativa a un mondo scapestrato. Chiedersi quale sia il rapporto tra questi due tipi di “giustizia” è un lavoro sempre in corso, ma pensare che ci possa essere una giustizia umana che corrisponde a – o approssima – quella di Cristo significa falsare l’evangelo, anzi renderlo “incomprensibile all’uomo moderno”, per così dire, rifacendo ironicamente il verso a un detto molto frequente».

Se le contrapposizioni di Lutero sono la forma con cui ha voluto parlare della libertà dell’uomo, quali sono allora le forme con cui noi oggi, a cinquecento anni di distanza, in un’epoca tutta diversa, possiamo farlo? Qual è il nostro umanesimo?

«Tutto sommato ritengo sempre possibile che quel linguaggio cristiano, che era tornato utile a Lutero, e di cui egli aveva potuto servirsi mediante i suoi paradossi, possa ancora essere utile a noi. Non è la libertà in se stessa, come nuova dea o idea a costituire il nucleo del pensiero e quindi dell’uomo. Al contrario l’annuncio, l’evangelo, il verbum, conserva la libertà e custodisce la sua realtà per l’uomo. Forse c’è ancora molto da imparare proprio da Lutero, benché talvolta abbia detto anche tante cose deplorevoli. Ma ci vuole tempo e pazienza per rispondere a una domanda così difficile. Il pensiero della Riforma è stato annegato in cinquecento anni, occorre ristudiarlo. Sul mio sito internet si trovano altri elementi in merito per gli studiosi».

Molto, moltissimo infatti si potrebbe dire ancora, a partire da questo libro. Le chiese però hanno ancora un anno abbondante per riflettervi e per riflettere sul senso che vorranno dare alle celebrazioni del 2017 – e perché no, anche sui rischi che questa occasione porterà con sé. Noi cercheremo di proseguire la riflessione nei mesi che ci separano dall’avvio della prossima, ricca, serie di eventi.

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