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A trent’anni dall’Intesa Stato – Chiesa valdese

«Le Chiese evangeliche italiane, al momento dell’elaborazione della nuova Costituzione (1946-47) non avevano chiesto che i loro rapporti con lo Stato fossero regolati da uno strumento bilaterale (concordati e intese). Il Consiglio federale aveva anzi auspicato che tutte le chiese avessero una “assoluta parità di trattamento giuridico (…) nell’ambito del diritto comune” secondo la tradizione dell’Italia liberale antifascista. (il motto di Cavour : libera chiesa in libero Stato). L’istituto delle intese nacque in sede politica, in seguito all’emendamento Terracini, accettato per la Democrazia cristiana da Moro, per bilanciare l’inserzione nella Costituzione dei Patti lateranensi». Così inizia, nel racconto di Gianni Long, la lunga e travagliata storia dell’Intesa fra lo Stato italiano e la Chiesa valdese, di cui ricorrono i trent’anni. A questa lunga vicenda è dedicato il bel numero dei «Quaderni del Circolo Rosselli», diretti da Valdo Spini, Fede e istituzioni (n. 2/2015, fascicolo 122)*.

Una storia di fede, di ecclesiologia, di battaglie per la libertà religiosa, di diritti negati, di mediazioni con la politica, di pazienza, ma anche di intransigenti no al sempre strisciante confessionalismo. Una storia appassionante perché in gran parte raccontata da o con i protagonisti, da Giorgio Peyrot al moderatore Giorgio Bouchard, da Giorgio a Valdo Spini, da Tullio Vinay a Sergio Aquilante. E anche perché gli interlocutori politici e governativi erano di peso: Andreotti, Cossiga, Forlani, Spadolini, Craxi…

Una ricostruzione storica di cui non bisognerebbe perdere memoria nei dibattiti sinodali sull’otto per mille (oggi può sembrare incomprensibile che una parte dei deputati al Sinodo fosse contraria al sistema otto per mille e tanto più al cosiddetto effetto di trascinamento delle quote non espresse). Una massa di denaro che oggi sostiene tutta la diaconia e la cultura e viene amministrata con grande trasparenza a sostegno di migliaia di progetti, con qualche nuvola incombente, come ha scritto anche Paolo Ricca, da sempre convinto sostenitore dell’otto per mille. Qui voglio ricordare un bel commento che Giorgio Spini fece in seguito alla decisione finale favorevole all’otto per mille. «In questa discussione, disse, non si sono confrontati una ragione (quelli per il sì) e un torto (quelli per il no) ma due ragioni altrettanto fondate».

Ora però guardiamo avanti, dice Valdo Spini: e davanti c’è la assoluta necessità di abrogare per tutti le leggi fasciste del 1929 sui culti ammessi, e approvare la legge sulla libertà religiosa , bloccata in ultimo dalla Lega Nord in relazione ai rapporti con i musulmani (chi ci garantisce che l’otto per mille ai musulmani non siano soldi che vanno a finanziare fondamentalisti o terroristi?). È un fatto che, nell’impostazione di Peyrot, l’Intesa era in primo luogo uno strumento per far conoscere la nostra identità di chiese, una possibile alternativa al Concordato (senza oneri per lo Stato). Successivamente in molti casi la possibilità di partecipazione alle quote dell’otto per mille fu il motivo vero per fare l’Intesa.

L’ altro grande impegno è quello per una scuola pubblica di livello europeo. «Come è possibile, scrive Spini, che nel mondo odierno le nostre ragazze e ragazzi non si preparino ad affrontare ben informati le conseguenze anche religiose della globalizzazione e dei processi di immigrazione? Com’ è possibile che non si possa pensare ad un insegnamento non confessionale di storia e antropologia delle religioni che metta i cittadini di domani in condizione di comprendere il loro tempo?…». Compreso, aggiungo, l’odio e le guerre in nome di Dio, ma anche il dialogo pacifico tra diversi…

* Con articoli di Valdo Spini, Francesca Cadeddu, Stefano Gagliano, Giorgio Bouchard, Vincenzo Pacillo, Paolo Naso, Sergio Lariccia, Gianni Long e vari documenti).

Foto “Firma della Costituzione“. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons.