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Meno religione a scuola, se scelgono i ragazzi

Aumentano gli studenti che scelgono di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica a scuola. Ma la riduzione del numero di insegnanti rende difficile la gestione dell’ora di alternativa, mentre per l’Irc è impossibile accorpare le classi, anche con pochissimi studenti, come viene fatto in altri casi, a causa degli accordi dello Stato con la Chiesa cattolica. Ne abbiamo parlato con Daniel Noffke, docente e consigliere dell’Associazione 31 Ottobre, che si occupa di laicità e pluralismo nel mondo della scuola.

Cosa pensa di questi dati?

«Le notizie importanti sono due. La prima è il fatto che sempre più ragazzi scelgono di non avvalersi dell’ora di religione. Una preferenza che i giovani fanno non appena possono scegliere autonomamente. Risulta evidente la differenza che c’è tra i dati tra la scuola primaria e quella secondaria di primo grado, che vedono ancora molta partecipazione all’ora di religione, e la scuola secondaria di secondo grado, in cui si nota una disaffezione. Questo non solo per pigrizia degli studenti, come spesso cercano di farci intendere, ma proprio per una scelta di libertà consapevole di qualcosa di diverso. L’ora di alternativa potrebbe esserlo se venisse attuata. L’altra notizia è che con questi numeri, anche se c’è un solo ragazzo che frequenta l’Irc, deve essere garantita la presenza dell’insegnante di religione, cosa singolare quando per l’ora di alternativa prassi come lo spostare bambini nelle altre classi, riutilizzare gli insegnanti per fare supplenze e così via, sono consolidate, con la scusa del risparmio e della spending review. Ma si risparmia da un lato e non dall’altro».

Gli insegnanti di religione sono uguali agli altri per gli oneri per lo Stato, anche se non sono scelti da questo.

«Questi insegnanti rientrano nelle spese della scuola a tutti gli effetti e sono pagati e gestiti dallo Stato, ma non sono scelti in base a criteri di competenza, perché è la Curia che indica quali docenti possono insegnare religione, dalla scuola dell’infanzia alle scuole superiori».

C’è una differenza tra quello che scelgono le famiglie e gli alunni?

«Come associazione 31 ottobre ce lo siamo chiesti, facendo anche delle interviste, in Puglia e in Liguria. Ci siamo chiesti perché le famiglie spingano per la partecipazione all’ora di religione cattolica, mentre i ragazzi con il tempo si allontanino. Credo che le famiglie siano molto più conformiste e legate al sentimento di non voler percepire discriminati i figli, mentre il ragazzo prende in carico su di sé questa scelta».

Perché è così faticoso gestire l’alternativa? Solo per la questione dei fondi?

«In gran parte per i fondi: anche laddove sono previsti c’è la clausola, che vale soprattutto per la scuola primaria e dell’infanzia, per cui se ci sono risorse all’interno della scuola (ovvero insegnanti con delle ore a disposizione), non si può attingere a fondi disponibili per l’alternativa. Tutto deriva dall’abolizione delle compresenze nella riforma Gelmini: le ore che un tempo erano di compresenza sono utilizzabili per altro. Questo spinge molti dirigenti scolastici a utilizzare gli insegnanti per la copertura delle supplenze (che in questo periodo non vengono date) o per altri incarichi, come la copertura sull’handicap o per l’ora di alternativa. Creando anche situazioni imbarazzanti dal punto di vista etico e culturale: ho sentito un dirigente scolastico affermare la competizione tra diritti dei portatore di handicap e il diritto della libertà di chi non si avvale della religione. Ma non si possono mettere in contrasto dei diritti».

Come è possibile superare questa situazione?

«Noi non ci siamo mai rassegnati, ma l’unica situazione reale è quella in cui la Chiesa cattolica, a un certo punto, accetti di rinunciare ai privilegi del Concordato, e quindi a una gestione diretta di una parte dell’orario della scuola pubblica, che non ha riscontro in altri paesi. Noi dobbiamo far capire agli italiani che esiste un altro modo, rispettoso delle religioni, che ne preveda l’esistenza nella scuola ma non come presenza istituzionale, bensì culturale. Proporre un insegnamento delle religioni alternativo a quello confessionale, ovvero parlare del fatto religioso in modo laico. Questa è la nostra proposta».

Come arriva l’Associazione 31 ottobre alla prossima assemblea?

«Arriviamo in un momento di difficoltà perché all’interno delle nostre chiese non abbiamo avuto una risposta così forte e appassionata come nei primi anni di attività dell’associazione. Certamente le nostre scelte, come quella dell’insegnamento laico delle religioni, hanno creato dei malumori. Noi vogliamo che si mantenga vivo il discorso, che si possa continuare a discutere su quali linee seguire per arrivare alla soluzione dei problemi che abbiamo elencato fino ad ora, e non siamo per un’unica opzione». 

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