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Renzo Arbore: «A bandiera Gialla tutto era beat, anche gli occhiali»

Il 16 ottobre 1965 alle 17, 45 sulle frequenze del secondo programma Rai debutta “Bandiera Gialla” e niente sarà più come prima. L’etere è ancora di proprietà esclusiva dello Stato e le radio private non sono nemmeno un’ipotesi. Fino a quel giorno di cinquant’anni fa, quando Renzo Arbore e Gianni Boncompagni si impossessano del microfono per dare spazio alla beat generation, al rock, al soul, alle novità in arrivo dal Regno Unito e dagli Stati Uniti. La nostra intervista a Renzo Arbore.

Renzo Arbore, cinquant’anni fa con “Bandiera Gialla” avete creato un modo nuovo “di fare la radio” e di “inventare” i giovani.

«Prima di noi e del “Piper” – locale meraviglioso di via Tagliamento a Roma, che diede vita a tanti altri locali simili in Italia – i giovani non erano mai stati “etichettati” in nessun modo. C’erano soltanto “i ragazzi” ai quali alcuni giornali dedicavano un po’ del loro spazio. Il Corriere delle Sera pubblicava il Corriere dei ragazzi, poi c’erano L’intrepido, il Monello e il periodico a fumetti Il Vittorioso. Dopo “Bandiera Gialla”, si avvertì l’esigenza generale di riservare più attenzione ai giovani e nacquero così altre riviste dedicate: Giovani, Big e Ciao Amici. Con l’avvento di queste nuove pubblicazioni e la nostra dirompente trasmissione radiofonica fu evidente che non si poteva più ignorare l’universo giovanile. “Bandiera Gialla” era indirizzata proprio ai teenager e il nostro programma era addirittura “proibito ai maggiorenni”. Lo slogan di Gianni Boncompagni diceva: “A tutti i ragazzi maggiorenni e a coloro in ascolto: la trasmissione è indirizzata esclusivamente ai giovani al di sotto dei 18 anni e chi non lo è… e deciderà comunque ascoltarlo… lo farà a suo rischio e pericolo” poi, partiva la nostra rivoluzione musicale. La nostra musica era diversa da quella trasmessa in quegli anni da mamma Rai. Radio Rai era l’unica radio – lontano era l’avvento delle radio private – e proponeva dalla mattina alla sera musica di ogni genere, anche buona musica, certamente, non d’avanguardia come la nostra. Il nostro arrivo diede un vero scossone alla Rai».

Com’è cambiata la radio di oggi?

«La radio di oggi è molto agile. Prima di “Bandiera Gialla” la radio sembrava destinata ad essere soppiantata dall’avvento televisivo, in effetti era ascoltata soprattutto da chi non possedeva il televisore, in gran diffusione in quegli anni. Era ascoltata da una generazione abituata alle voci classiche degli annunciatori e delle annunciatrici, ai titoli di canzoni declamati da maestri che ne accompagnavano l’ascolto e dove venivano proposti i giornali radio e programmi come “Il convegno dei cinque”. L’arrivo di “Bandiera Gialla” nel palinsesto di Radio Rai fu una vera rivoluzione perché fece capire che la radio poteva essere indirizzata ai giovani. Da allora la radio è diventata la “bandiera” dei giovani. Nacquero le prime radio libere comunitarie e private dove si poterono allenare le nuove generazioni di speaker, finalmente liberi di esprimersi senza dover necessariamente impostare propria voce. Erano i primi Dj di quegli anni. Boncompagni e io siamo stati i primi Dj della storia della radiofonia italiana e delle discoteche. La radio, così come viene proposta oggi, ha saputo fare tesoro delle eredità del passato e ha capito che deve indirizzarsi ad un pubblico sveglio e dinamico, direi vispo, abituato a portare con sé la propria radio, scaricare i programmi in podcast e interagire con i conduttori e le redazioni giornalistiche. La radio è un veicolo straordinario non solamente per diffondere la parola ma anche la musica. Non è così per la televisione che propone quasi esclusivamente canzoni. Attraverso la radio è possibile ascoltare la musica del mondo. L’ultima rivoluzione straordinaria per la radio è stato certamente l’avvento del web. Ha modificato l’interazione e l’ascolto con funzionalità cross-mediali. Io sono un grande ascoltatore delle radio, di tutte le radio, in particolare di Radio Rai, alla quale sono molto legato.

Lei confida molto nelle qualità dei giovani di oggi, Boncompagni un po’ meno.

«Gianni è sempre polemico. Effettivamente non si può dire che ci sia stata una rivoluzione nella musica pop, chiamiamola pop, vi dirò dopo perché noi decidemmo di chiamarla invece beat. Quella che fu per me e Boncompagni una vera rivoluzione avvenne negli anni in cui noi muovevamo i primi passi in Rai. Dal rock n’roll che girava sul vinile dei 45 giri negli anni ’54, ‘55’ 56 si arrivò all’avvento della musica beat, che noi definimmo Beat “rubando” un termine legato al Jazz di San Francisco e alla filosofia che intellettuali e autori come Jack Kerouak stavano diffondendo. Decidemmo di utilizzare la parola beat per parlare della musica che avremmo proposto proprio il giorno in cui stavamo scrivendo (affinché ce lo pagassero!) il primo copione per la trasmissione “Bandiera Gialla”. In quegli anni avvenne la vera rivoluzione musicale con l’avvento dei Beatles, dei Rolling Stones, di James Brown, di Wilson Pickett, di Otis Redding e Aretha Franklin. Dopo quella rivoluzione a nostro avviso non si è più mosso nulla. Sì, è stata prodotta buona musica e il Rap è stato una novità, ma si tratta di derivati, novità discendenti dalla rivoluzione precedente. Nulla di veramente nuovo è stato fatto. Gianni ascolta la musica di oggi e la trova meno bella di I got you di James Brown o di Land one thousand dances di Wilson Pickett».

Oltre ad aver modificato e stravolto il modo di fare radio, lei ha modificato anche il modo di fare televisione.

«Sono partito dall’intuizione avuta per la nostra trasmissione radio del 1970. Era ormai consolidata la formula della radio parlata. Gianni conduceva “3131” ed io “Per voi giovani”, un programma impegnato di orientamento professionale, di cultura e tanta buona musica e dove in quell’occasione ho avuto modo di lanciare e far conoscere tanti cantanti come Fausto Leali, Adriano Celentano, Don Backy e gruppi musicali come i Camaleonti e i Pooh. Quella “radio parlata” per noi non era più sufficiente, volevamo proporre uno spettacolo dirompente, allo stato puro. Decidemmo allora di pensare ad un programma adatto alle nostre esigenze e nacque “Alto gradimento”, certamente il più grande successo radiofonico di tutti i tempi dopo, ad onore del vero, del programma radiofonico in chiave umoristica “I quattro moschettieri” trasmesso negli anni trenta. Con “Alto gradimento” possiamo dire di aver inventato l’improvvisazione in radio. Personaggi come Mario Marenco, Giorgio Bracardi, Marcello Casco e tanti altri hanno improvvisato insieme a noi. Grazie alla loro allegria, alla loro professionalità e intelligenza nascevano siparietti sempre nuovi e divertenti. “Alto gradimento” è stato un elogio alla giovinezza. Certamente ci siamo ispirati anche a diversi tipi di umorismo, ma noi ne inventammo uno tutto nostro: l’umorismo surreale. Raggiungemmo livelli di umorismo inimitabile, lo dico da tecnico, ancora oggi. Da quell’esperienza proseguimmo poi con altri programmi improvvisati: “L’altra domenica” o “Speciale per voi” – il primo talk show della storia della televisione italiana 1969-1970 – dove anche il pubblico in ascolto improvvisava con noi; poi con “Quelli della notte” e “Indietro tutta” toccammo forse i livelli più alti del nostro modo di fare televisione. Vere e proprie jam Session, così amo definirle. Il libro che sto preparando e che uscirà a novembre per la Rizzoli si intitola proprio: E se la vita fosse una Jam Session?. Guardandomi indietro mi sono accorto che tutta la mia vita è stata una Jam Session, da quando sono nato».

Una vita jazz!

«Non ho mai voluto riproporre o rappresentare dei copioni o testi scritti da altri, non mi sono mai sentito solo un esecutore, un conduttore. Con i miei compagni di viaggio siamo sempre andati volutamente allo sbaraglio utilizzando la tecnica del jazz adattata alla parola. Poi, una buona pizza in compagnia e un bella grappa hanno fatto il resto dando verve alle nostre performance. Fantasie irrefrenabili, ricordi, stupidaggini nate così, al momento, erano il vero copione dei nostri programmi. “Meno siamo meglio stiamo” è stata l’ultima trasmissione per me importante e andata in onda su RaiUno nel 2005: tutti questi ricordi con le mie trasmissioni le potete trovare sul mio Channel video, www.renzoarborechannel.tv. Lo dico, approfittando di voi, per ricordare che c’è molto materiale di repertorio e curiosità mandate anche dal pubblico, anche cose non mie ma che ci tenevo a segnalare: continuo a definirmi un Dj. Poi c’è il mio sito, ma è un’altra cosa».

Con umorismo e intelligenza avete saputo far entrare nelle case degli italiani molta leggerezza, senza dimenticare temi importanti: etici, sociali, culturali e politici.

«La televisione proposta in quel periodo, a mio avviso, è ineguagliabile. Artisti come Nino Frassica, per fare un solo esempio, erano perfetti; ci ritrovavamo in onda senza neanche vederci al trucco. In diretta nascevano i nostri sketch televisivi, spontaneamente, solo guardandoci negli occhi, Frassica lo fa ancora oggi da Fabio Fazio in tv, improvvisa meravigliosamente. Il programma proseguiva sino a quando il tempo spirava tra le nostre mani. Questo tipo di televisione e soprattutto di artisti sono rarissimi oggi: qualcuno ancora esiste, manca però una scuderia come quella del passato per poter riproporre un programma come eravamo soliti fare, improvvisato, divertente, dove si ride con la pancia e non con le volgarità, le cattiverie, gli inganni, le imitazioni, troppo spesso di moda oggi. Noi non abbiamo mai usato questi espedienti che sono, peraltro, legittimi».

Cinquant’anni di Bandiera Gialla ma anche cinquant’anni di carriera Rai per Renzo Arbore.

«Con Boncompagni entrammo per concorso, forse siamo stati gli ultimi ad averlo fatto. Proprio in questi giorni usciranno alcuni dvd allegati al Corriere delle Sera e sarà inaugurata anche una mostra itinerante che partirà proprio da Roma».

Quale direzione indicherebbe ai giovani artisti di oggi?

«Il mio auspicio è quello che i giovani possano fare qualcosa di nuovo attraverso la rete, il web, che attraverso questa nuova frontiera del linguaggio e della comunicazione possano produrre una nuova rivoluzione musicale, artistica e sociale. Gli auguro di inventare qualcosa di diverso, come facemmo noi con l’improvvisazione».

Vorrebbe una nuova beat generation?

«In quegli anni riuscimmo, ancora una volta, a beffare tutti. Tutto per noi doveva diventare beat: la ragazza beat, la moda, la radio beat, gli occhiali beat, la musica beat, l’automobile beat, i negozi beat, insomma tutto doveva esser beat. Siamo stati gli artefici di una piccola truffa che raggiunse addirittura la Francia con la “beat musique”. Non siamo mai riusciti con la nostra beffa ad arrivare in Inghilterra e negli Stati Uniti. Ci siamo molto divertiti e continuiamo a divertirci molto anche oggi». 

Foto “Renzo Arbore – ritratto fotografico di Augusto De Luca” di Augusto De Luca – http://www.flickr.com/photos/57005853@N07/9105365503/sizes/o/in/photostream/. Con licenza CC BY-SA 2.0 tramite Wikimedia Commons.