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La grazia si annuncia, non si amministra

A fine mese le chiese evangeliche ricorderanno la Riforma avviata nel Cinquecento dalla predicazione di Lutero; l’8 dicembre prossimo papa Francesco aprirà l’Anno Santo. Hanno una qualche relazione le due date? Nel clima ecumenico dell’indifferenziato e del buonismo, in cui si muove la cristianità odierna, sembra doversi rispondere di no; oggi ognuno segue i suoi percorsi, costruisce i suoi riferimenti teologici, sviluppa le sue istanze e la sua pietà, tutte discutibili ma legittime.

A differenza di quel che accadeva quel giorno a Wittemberg i fedeli penitenti non dovranno più versare le loro monete nella cassetta di Tetzel, predicatore di indulgenze fin troppo disinvolto anche per i cattolici seri; l’Anno Santo 2015 è gratuito, non solo ma del perdono si può lucrare (è il termine tecnico) senza andare a Roma, si ottiene in diocesi. Dal punto di vista canonico si tratta di una grande novità, Roma decentra. A far problema è il fatto che fra Tetzel e il vescovo, o il sacerdote delegato alla misericordia, non c’è differenza, anche se è gratuito e locale il perdono è amministrato dalla Chiesa, oggi come nel 1517; è grazia divina, assoluta. Certo, ma la realtà storica deputata a gestirla è sempre l’istituzione ecclesiastica e in particolare il suo clero, i suoi ministri.

In realtà la comunità cristiana, la Chiesa, non amministra la grazia, può solo annunziarla, questo diceva fra Martin Lutero nelle sue 95 tesi in un linguaggio molto tecnico da dottore in teologia. Tale resta tuttora il nodo irrisolto del problema, comunque si semplifichino le procedure. A questo riguardo mi permetto di fare menzione di una discussione avvenuta anni fa in un seminario sul valdismo medievale presso l’Ecole des Hautes Etudes parigina con Jacques Le Goff; un suo assistente sosteneva che i barba confessavano i fedeli e davano loro l’assoluzione, come i preti e di conseguenza i Poveri dovevano essere considerati sul piano teologico cattolici; «Qual è la formula assolutoria usata dal barba?», chiese Le Goff; «Come il Signore perdonò il peccato a Maria Maddalena, a Pietro, ad altri, perdoni anche te», diceva il barba; «Questo non diritto canonico è citazione del Vangelo – disse il maestro –, il barba è fuori dell’ordinamento cattolico, sta su un altro piano».

Il fatto invece che l’Anno Santo di papa Francesco si collochi nel quadro del diritto canonico e non del Vangelo è confermato dalla data della sua apertura: l’8 dicembre, giorno della Immacolata Concezione. Il pontefice lo aprirà probabilmente dopo essersi recato in piazza di Spagna per inginocchiarsi, come prevede la liturgia, ai piedi della colonna su cui sta la statua della vergine (per non essere accusati di irriverenza e mancanza di sensibilità non usiamo il termine tecnico, idolo, dal greco eidolon, che nel linguaggio religioso indica l’immagina sacra che incarna il divino).

Quel dogma, rifiutato dalle chiese ortodosse e protestanti, contestato dalla maggior parte dei teologi romani fino alla sua proclamazione, in realtà non parla di Maria di Nazaret, la madre di Gesù, ma della Chiesa; è l’immagine della Chiesa, perfetta e immacolata, anche se composta di peccatori che necessitano misericordia. Avesse voluto il Santo Padre proclamare un anno di grazia secondo le Scritture, avrebbe potuto scegliere un giorno che fosse simbolo di altro messaggio: Natale, Pasqua, un giorno che ricordasse non la mater misericordiae ma il fatto liberatorio che «Cristo è morto per i nostri peccati e risorto per la nostra giustificazione».

Nella Wittemberg di Federico il Savio il giorno di Ognissanti 1517 la folla devota, dopo aver pagato l’obolo a Teztzel, si recava nella chiesa del castello (sulla cui porta stavano affisse le tesi di fra Martino) per ammirare la collezione di reliquie del Principe, una delle più ricche d’Europa. Nell’Anno Santo i milioni di pellegrini avranno il privilegio di fare la stessa cosa con la mummia di Padre Pio, il santo più amato e contestato del XX secolo.

Nulla è in queste considerazioni è ispirato da una sufficienza presuntuosa, da uno spirito saccente che guarda alle esperienze e ai tentativi (e perché no, agli errori) dei fratelli in fede dall’alto. Il «fratello Francesco», così l’ultimo Sinodo ha ritenuto potergli rivolgere un messaggio, cerca la strada per la sua chiesa e la cerca in un percorso di riforma; non possiamo che essere solidali con lui ma la franchezza fraterna ci spinge a dire che quella strada rischia di diventare un vicolo chiuso.

Molti suoi estimatori, editorialisti vaticani e non, ci dicono: «Voi guardate al passato, vivete nel Cinquecento, papa Francesco guarda al futuro»; forse in questa analisi c’è qualcosa di vero, occorrerà pensarci nel ricordare il 1517, ma se quel passato ci riconduce a Gesù Cristo, reinventiamo il passato.

Foto Pietro Romeo