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Svetlana Aleksievič, una vita da testimone

«No, non sotto un estraneo cielo,

Non al riparo d’ali estranee:

Ero allora col mio popolo,

Là dove il mio popolo, per sventura, era».

 

«Nei terribili anni della ežovščina [epurazione, ndr] ho trascorso diciassette mesi a fare la coda presso le carceri di Leningrado. Una volta un tale mi “riconobbe”. Allora una donna dalle labbra bluastre che stava dietro di me, e che, certamente, non aveva mai udito il mio nome, si ridestò dal torpore proprio a noi tutti e mi domandò all’orecchio (lì tutti parlavano sussurrando): – Ma lei può descrivere questo? E io dissi: – Posso. Allora una specie di sorriso scivolò per quello che una volta era stato il suo volto.

1° aprile 1957. Leningrado»

(A. Achmatova, «Requiem», in «Poema senza eroe e altre poesie», Einaudi)

 

Oggi abbiamo la sensazione che il mondo possa diventare migliore, almeno un po’, grazie al Nobel per la letteratura assegnato a Svetlana Aleksievič. Chi ancora non la conosce andrà a caccia dei suoi libri-reportage, entrerà a contatto con racconti di vita in prima persona di protagonisti e protagoniste dimenticati, donne sovietiche combattenti nella seconda guerra mondiale, reduci dell’Afghanistan, sopravvissuti alla tragedia di Černobyl, e dalle parole vive di questi testimoni, il lettore sarà ispirato a impegnarsi ancor più per dare forza alla memoria collettiva e individuale, per dare voce ai testimoni, per lottare contro le ingiustizie e l’oblio, un oblio individuale e collettivo che permette il ripetersi di tanti orrori nella storia dell’umanità.

Scrittrice bielorussa, nata nel 1948, ha vissuto il periodo sovietico e post-sovietico appieno, dopo una formazione come insegnante e giornalista, ha dedicato la sua attività letteraria a dare voce a innumerevoli eroi e vittime, dimenticati e messi da parte dal potere sovietico prima, e da quello russo, oggi. Le sue opere sono frutto di un lavoro di raccolta di informazioni e incontri coi testimoni lunghissimo e molto approfondito: scelta una tematica, l’autrice incontra centinaia di persone, raccoglie le loro testimonianze, agisce da giornalista, poi ricompone il mosaico, da scrittrice, dando a ciascuno la propria voce, e portando il lettore a rivivere quel momento storico attraverso le parole, gli sguardi, le emozioni, di coloro che lei ha riconosciuto come portatori di verità personali e storiche, dando loro dignità e spessore, amore e rispetto sia al momento dell’incontro sia nella stesura delle loro testimonianze.

I versi della poetessa Anna Achmatova sopra riportati sono la riprova che nella storia letteraria russa l’amore per la propria patria, cultura, popolo, sono legati ad opere di testimonianza e critica. Lo sguardo di Achmatova in Requiem, madre sofferente per il figlio tra mille altre madri e mogli, accampate davanti al carcere di Leningrado in attesa di notizie dei loro amati, ha raggiunto Aleksievič, come molti altri cittadini sovietici e post-sovietici, e potrebbe averla ispirata in questa ricerca delle verità di chi tace perché il suo punto di vista non è importante per i potenti.

Nelle opere di Svetlana Aleksievič emerge una visione critica degli orrori, ma anche dell’estrema complessità della società post-sovietica, che in Occidente tendiamo a vedere in bianco e nero, come dice l’autrice. L’auspicio è che, oltre ai numerosi reportage che in questi giorni riporteranno le dichiarazioni della premiata sull’attualità post-sovietica, il lettore viva la singolare esperienza della polifonia di Ragazzi di zinco, Incantati dalla morte o Preghiera per Černobyl [in Italia pubblicati da e/o, ndr] e comprenda meglio questa realtà variegata, contraddittoria, eppur prossima a noi.

Foto: “Swetlana Alexijewitsch 2013” by Elke WetzigOwn work. Licensed under CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons.