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Le frontiere del commercio sono più facili da abbattere

Dopo cinque anni di trattative è stato raggiunto un accordo definitivo sul Trans Pacific partnership (Tpp), il trattato di libero scambio siglato dagli Stati Uniti e da altri 11 paesi del Pacifico: Giappone, Canada, Australia, Brunei, Cile, Malaysia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam. Secondo gli osservatori, questo accordo influenzerà un patto simile, che riguarda la costa atlantica e che tocca sostanzialmente Stati Uniti e Unione Europea: il Ttip, partenariato transatlantico su commercio e investimenti. «Questo trattato riguarda il 40% del Prodotto interno lordo mondiale, quindi non è una questione irrisoria, parliamo della porzione di mondo che sta trainando l’economia. Se venisse approvato anche il Ttip si arriverebbe al 63% del Pil, dunque un incremento importante, ma non così significativo come quello del Pacifico» dice Antonella Visintin, della Commissione Globalizzazione e Ambiente della Federazione della Chiese Evangeliche in Italia.

Come ci interessa l’approvazione di questo trattato?

«L’accordo modifica le regole e i prezzi, ed è molto simile a quello che si discute da noi, perché cerca di tutelare gli interessi delle società transnazionali rispetto agli Stati. In questo caso ha una valenza politica pesante, ovvero cercare di controllare la Cina. Può essere una forma di pressione e bisognerà vedere come verrà accolta. Questo patto viene siglato in nome del lavoro, della tutela dell’ambiente, ma soprattutto per favorire il commercio e gli investimenti che necessitano, [secondo i firmatari, ndr] di una liberazione da ostacoli, complicazioni, vincoli e regole. Ma questa è la dichiarazione di chi è in una posizione di forza, cioè delle società transnazionali sugli stati. Lo strumento del condizionamento è il famoso Isds, cioè il luogo dell’arbitrato [qui una spiegazione]. L’Isds non è in grado di modificare le leggi, ma può fare pressione sugli stati o creare censure preventive dal punto di vista legislativo. Quando verrà accolta dagli stati diventerà una misura politica, in cui viene chiesto loro di non avere un ruolo super partes rispetto agli interessi delle aziende, ma di allearsi con queste ultime».

Il Tpp mette pressione sull’approvazione del Ttip: cosa ne pensa?

«Sebbene l’accordo del Pacifico è sostanzialmente tra gli Stati Uniti e i Brics, elevando i secondi a ruolo di interlocutori (questione non secondaria), l’accordo atlantico prevede dei rapporti di forza diversi. L’Europa ha perso molto del suo peso geopolitico, anche a causa dei conflitti interni che l’hanno indebolita, ma è più forte dal punto di vista della tutela dei diritti. La situazione è paradossalmente ribaltata, perché rispetto ai Brics, gli Usa presentano maggiori tutele, ma rispetto all’Europa no. Queste tutele sono a rischio in vari ambiti: per esempio nel settore agroalimentare, anche in relazione al principio di precauzione e sicurezza perché le regole statunitensi sono meno stringenti. Oppure la materia degli Ogm e degli ormoni, la questione del cloro con cui vengono lavate le carcasse degli animali, l’utilizzo di carne e latte discendenti da cloni, e così via; insomma sono molte le questioni in gioco».

Chi è a favore dice che questi sono rischi, ma non necessariamente ciò che accadrà.

«La preoccupazione aumenta proprio dal momento che l’Europa è debole, così come la sua cultura dei diritti. Purtroppo la concorrenza avviene sul prezzo dove gli Usa sono in grado essere molto competitivi: ma i diritti e l’ambiente non sono compresi nel prezzo e vengono sacrificati».

A che punto è la discussione sull’accordo che ci riguarda, il Ttip?

«Lo stato dell’accordo è tutt’ora aperto, grazie anche al fatto che vi sono delle resistenze in alcuni paesi. Bisogna sperare di tenere l’opinione pubblica attenta sulla questione. Spesso i cittadini si oppongono a questo accordo: la campagna contro il partenariato transatlantico ha previsto delle mobilitazioni dal 10 al 17 di ottobre in tutta Europa, soprattutto in vista del voto a riguardo che si svolgerà nei giorni successivi a Strasburgo».

Foto via Pixabay