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Diritto di cittadinanza, «la montagna ha partorito un topolino»

 Nella giornata di lunedì è iniziata alla Camera la discussione sulla riforma del diritto di cittadinanza, una legge molto attesa soprattutto per quanto riguarda il cosiddetto ius soli, il riconoscimento anche in termini di diritto dell’appartenenza alla comunità nazionale del paese nel quale si è nati.

Si tratta di una riforma di cui si discute da molti anni, e che ha visto finora arenarsi in Parlamento 24 proposte di legge, oltre all’iniziativa popolare della campagna “l’Italia sono anch’io”, che riunisce circa 30 organizzazioni sociali e sindacali di ogni area, tra cui anche la Fcei, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia.

Tuttavia, il provvedimento all’esame dell’aula prevede una versione dello ius soli definita “temperata”. Troppo, secondo alcuni.

Antonio Russo, responsabile immigrazione delle Acli, che partecipa alla campagna “l’Italia sono anch’io”, è tra coloro che questa mattina hanno incontrato i parlamentari per proporre modifiche a una riforma che non sembra in grado di riflettere i cambiamenti sociali già avvenuti.

Mercoledì scorso nella Commissione Affari costituzionali della Camera è arrivato un primo “via libera” alla riforma del diritto di cittadinanza. Con questo voto si è sbloccato il percorso della legge?

«Che ci sia un passo avanti non possiamo negarlo. La questione è verso quale riforma. La legge che regola il diritto di cittadinanza è la 91 del 1992, ed è facile dire che erano 23 anni che in un paese sostanzialmente cambiato si aspettava di mettere mano a questa norma. Dopo 23 anni il Parlamento ha finalmente deciso di modificare quella legge e di farlo assumendo anche alcuni dei principi indicati dalla proposta della campagna nazionale “l’Italia sono anch’io”, oltre che delle 24 proposte di legge che giacevano in Parlamento, anche se non tutti.

Ieri è cominciato l’iter parlamentare, per cui nel corso di questo mese o del prossimo ci sarà una nuova legge sulla cittadinanza».

È possibile dare un giudizio su quanto uscito dalla commissione?

«Siamo soddisfatti fino a un certo punto perché ci sono ancora molti punti bui che vanno indagati e speriamo vengano risolti nella direzione che avevamo indicato con la nostra proposta di legge di iniziativa popolare che fu firmata da oltre 50.000 persone in Italia. Ci sono aspetti che vanno certamente rivisti e altre di cui non capiamo il senso».

Una parte dell’opposizione ha parlato di un compromesso al ribasso. Condividete questa lettura?

«Nella maniera più assoluta. Ci sembra davvero che sia un compromesso al ribasso su alcune questioni, soprattutto per quanto riguarda l’introduzione dello ius soli, che è davvero molto temperato. Stiamo parlando di una platea che riguarda circa 800.000 bambini che sono nati in Italia, che vivono e vanno a scuola con i nostri figli, che sono italiani di fatto ma non di diritto.

Noi avevamo chiesto, attraverso la proposta di legge “l’Italia sono anch’io”, che fosse sufficiente la presenza da almeno un anno di uno solo dei due genitori del bambino nato in Italia, mentre nella proposta allo stato attuale si afferma la necessità che uno dei due genitori sia presente da almeno cinque anni. Il problema, però, è che per questa presenza è stato introdotto il requisito del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo, che si lega al reddito della famiglia. È come dire che la richiesta di un diritto, che secondo noi dovrebbe essere soggettivo e non concessorio, si lega non solo alla famiglia, ma al reddito della famiglia, per cui si introduce un elemento di pesante discriminazione. Sembra che manchi il coraggio di fare una buona legge».

Forse questa mancanza va cercata nel suo riflesso sulla società: ci sono resistenze culturali al cambio di paradigma sull’idea di cittadinanza che voi proponete da anni?

«Sì, ci possono essere. La nostra campagna non è cresciuta nella sensibilità parlamentare, ma in seno alla società, e in questi anni ci siamo resi conto che spesso la storia dell’immigrazione italiana viene raccontata male, strumentalmente o meno. Nel corso di questi anni qualcuno l’ha usata anche per parlare allo stomaco delle persone, mentre noi riteniamo che sia necessario spiegare agli italiani che non c’è motivo per cui in questo paese debba crescere un’immigrazione rancorosa. Non stiamo parlando degli adulti, di quelli che sono venuti 10-15 anni fa nel nostro paese e che lavorano, rispettano le leggi e che quindi avrebbero anche loro avuto diritto, per esempio, a una legge sulle naturalizzazioni meno restrittiva. No, quando abbiamo lavorato alla raccolta delle firme per la nostra proposta di legge abbiamo sempre spiegato che stiamo parlando di bambini che sono nati qui, non sono cresciuti nei paesi di origine dei loro genitori. Bisogna anche dire che molti hanno capito e hanno firmato le nostre proposte di legge, però non basta: quello che si racconta in maniera distorta, sbagliata, strumentale, alle persone in un momento in cui il paese esce fuori anche da una crisi economica importante e una crisi lavorativa senza eguali è profondamente pericoloso».

In questa riforma vengono inclusi soltanto i bambini che nasceranno in Italia dopo l’approvazione?

«Il punto della retroattività è un problema, e non si capisce perché manchi la volontà di sanare una situazione pregressa. Nel momento in cui la riforma entrerà in vigore sarà impossibile non sanare la situazione di persone che sono arrivate qui minorenni e che sono ormai praticamente adulte».

Abbiamo lasciato da parte il discorso sullo ius culturae. Anche qui è mancato il coraggio?

«Qui più che altro sembra un percorso a ostacoli: si introduce come requisito il superamento con successo della scuola primaria, che riguarda anche i minori stranieri arrivati in Italia prima dei 12 anni. Bene, a questi si chiede di frequentare almeno i cinque anni della scuola primaria, oppure percorsi di istruzione e formazione professionale che diano una qualifica o un titolo conclusivo. Se il bambino dovesse essere bocciato dovrebbe ripetere l’anno fino a completare il ciclo».

È una riforma che riflette i cambiamenti avvenuti in questi ultimi vent’anni?

«Questa non è più l’Italia del 1991, quando si mise mano alla legge sulla cittadinanza, ma è un paese profondamente, radicalmente, antropologicamente cambiato. In Italia vivono cinque milioni di cittadini stranieri regolari, ci sono circa 1,5 milioni di bambini che vanno a scuola, due milioni di persone che lavorano regolarmente.

Non si può fare una riforma dopo 23 anni e partorire un topolino da una montagna così grossa.

Se non si spiega bene il senso di una riforma, la sua prospettiva, è tutto inutile, tanto vale non fare una riforma se dev’essere fatta male. Il diritto di cittadinanza è un diritto principale, dal quale discendono una serie di diritti politici, civili, sociali».

Ci sono i margini per migliorarla?

«Sì, nel senso che sia sull’introduzione dello ius soli e sulla richiesta del permesso per lungo soggiornanti ci sono i margini per migliorarle e noi spingeremo perché si vada in questa direzione.

Chiediamo al legislatore che nella filosofia generale ci sia un atteggiamento più sereno e lungimirante, più capace di immaginare che su questa riforma c’è un’attesa straordinaria non solo da parte degli immigrati, ma di tutto un paese che è vecchio e in cui non nascono bambini. Ci sono certamente margini per incidere fortemente, per cancellare questa norma del permesso per soggiornanti di lungo periodo, per agire ancora sullo ius culturae, perché ci sembra che questo vincolo si possa prestare naturalmente a qualcosa che sa di discriminatorio. Inoltre ci auguriamo che sulla naturalizzazione si possa riaprire. Questa è una riforma sulla quale costruiamo un pezzo di futuro di questo paese».

Foto via Pixabay