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Lo “sblocco” di Cuba

(L’Avana, Cuba) Il “caso cubano” è incomprensibile se non si passa dalla storia della schiavitù coloniale, il trionfo della rivoluzione (1959) di Fidel e del Che, e il periodo especial (la crisi economica post 1991-92), iniziato col crollo dell’Unione Sovietica. 

Cuba si è ritrovata senza più «la vacca da cui bere il latte», ci ha detto Idael Montero Pacheco, pastore della chiesa battista “Eben Ezer” e del Centro Martin Luther King a l’Avana. Chi soffre gli effetti del bloqueo (l’embargo economico deciso dagli Stati Uniti di cui Cuba è vittima da 50 anni) è lo stesso popolo cubano. Popolo che gode di un alto livello d’educazione e di formazione – la scuola è pubblica e gratuita per tutti, come anche la sanità, il 98% della popolazione è alfabetizzata – dove però oggi un professore universitario, o un medico, guadagna 20 dollari al mese, e mettere a posto la cucina di casa ne costa tra gli 800 e i 1000.

E’ proprio il bloqueo che il presidente Raul Castro ha definito «crudele, immorale e illegale» nel saluto ufficiale, sabato scorso quando nel pomeriggio papa Francesco è arrivato all’aeroporto Josè Martì (padre della patria) dell’Avana. Il pontefice ha ricordato le visite a Cuba di Giovanni Paolo II (1998) e di Ratzinger (2012), e citando il primo ha dichiarato che «Cuba deve aprirsi al mondo, e il mondo a Cuba». Tradotto: basta col bloqueo. Castro ha da parte sua sottolineato come con la Santa Sede i rapporti diplomatici siano stati continuativi e mai interrotti negli ultimi 80 anni (ben prima del trionfo della rivoluzione). 

Il quadro geopolitico internazionale di oggi è fortemente cambiato vista l’apertura un mese fa, dopo 54 anni di silenzio diplomatico (ammainata la bandiera americana sull’isola il 4 gennaio 1961), dell’ambasciata americana all’Avana, proprio sul lungo mare, il Malecòn, alla presenza del segretario di stato John Kerry. 

Questo è il nodo centrale di oggi: i rapporti con gli Stati Uniti. «E’ una visita molto importante quella di papa Francesco, che aiuta la riconciliazione con gli Stati Uniti», si sentiva dire alla Plaza de la Revolucion domenica scorsa tra la gente pronta a partecipare alla messa celebrata da Bergoglio. Cuba lo ha atteso tappezzando tutta l’isola con la sua immagine, accompagnata dalla scritta «bienvenido misionero de la misericordia». 

Come missionario si è di fatto presentato egli stesso, dandosi inoltre l’appellativo di “figlio” in riferimento alla “Vergine della carità del Cobre”, la Madonna proclamata nel 1916 patrona dei cubani da papa Benedetto XV. Francesco celebrerà messa proprio nel santuario (“cobre” significa “rame”, e dà il nome alla statuina della Madonna, che è stata trovata da lavoratori delle miniere), in un pellegrinaggio verso Santiago (di Cuba però!), nell’est dell’isola. 

La Vergine della carità è simbolo emblematico della religiosità cubana: patrona dell’isola per il Vaticano, e anche però per i santeros, che la considerano una loro divinità africana, Ochun. Gli schiavi delle miniere di rame (strappati dall’Africa) la veneravano. Simbolo dei mondi che a Cuba si fondono e confondono in un piatto spirituale caraibico: colorato e pieno di ingredienti.

Maria Caridad, responsabile della comunicazione per la diocesi di Santiago, dove si trova il santuario della patrona, confessa di non riporre nella visita di Francesco aspettative troppo elevate sotto il profilo politico e sociale: «Ci aspettavamo tanto quando venne Giovanni Paolo II, ma poi niente è cambiato. Attendiamo questa volta un papa missionario, questo sì». 

Il ruolo delle religioni e delle minoranze religiose è stato sottovalutato nel primo periodo della rivoluzione socialista (1959-91/2). Se ci si dichiarava ufficialmente appartenenti a una chiesa non si poteva accedere allo studio universitario, né alle carriere politiche: insomma, non si poteva essere comunisti e al contempo religiosi; lo stato cubano era dichiaratamente ateo (come scritto nella Costituzione). 

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Si dovette aspettare gli anni Ottanta, e che Fidel incontrasse il brasiliano Frei Betto (autore del libro Fidel e la religione, uscito 1985 dopo anni di interviste e dialoghi all’Avana); i vescovi cattolici e le chiese protestanti nel 1990 e, infine, Giovanni Paolo II nel 1995 a Roma, e lo stesso papa a Cuba nel 1998.

La teologia della liberazione in particolare impressionò Castro, perché gli delineò una chiesa interessante, ben diversa da quella conservatrice e nemica della rivoluzione. 

Teologia della liberazione che a Cuba in effetti non influenzò la predicazione della chiesa cattolico romana, come racconta Maria Caridad. Cosa che accadde invece per una parte della chiesa battista, quella del pastore Raul Suarez, fondatore del Centro Martin Luther King all’Avana. Ancora oggi il centro approfondisce quella teologia, analizzando le cause della povertà e predicando un evangelo che parla di trasformazione verso la giustizia, compresa quella sociale. Predicazione accompagnata da un forte impegno diaconale nel quartiere e nella città. Tra i programmi in corso al Centro: la formazione di “agenti sociali”, la ricostruzione delle abitazioni; una mensa quotidiana gratuita; un centro sociale per anziani. Cuba ha infatti perso molti dei suoi giovani, migrati all’estero. La popolazione va invecchiando, e gli anziani si trovano a vivere in solitudine, con figli e nipoti lontani da casa. Si aggiunga a ciò che la pensione d’anzianità è di 13 dollari al mese.

Nel 1992 Cuba diviene, dopo il referendum, uno stato laico e non confessionale: non è più incompatibile la religione con l’attività politica. Un’apertura storica questa; ma ancora oggi ci sono passi da fare. «E’ importante che il mondo abbia gli occhi su di noi, che sappia e veda ciò che facciamo e siamo, e che conosca il ruolo che potremmo e vorremmo avere come chiesa per la prosperità del popolo cubano», ha dichiarato il vescovo della chiesa metodista Ricardo Pereira Diaz, aggiungendo: «noi amiamo Cuba!». 

La chiesa metodista cubana è la terza per grandezza del mondo latinoamericano (dopo Brasile e Messico), conta più di 40 mila membri ufficiali (100 mila quelli comunicanti) e 403 comunità. A Cuba non si possono costruire chiese nuove (come non si possono comprare nuove auto), così sono le case a diventare luoghi di culto: sono nate negli anni le “case chiesa”; da fuori sembrano case, così non si può denunciarle, ma dentro si prega, si celebra il culto e si studia la Bibbia. 

Non si possono aprire neanche vere e proprie opere sociali (ospedali, scuole etc.): solo lo Stato può gestire opere di una certa ampiezza. Le ultime riforme hanno aperto alla possibilità di alcune privatizzazioni (per esempio qualche ristorante), ma siamo appena all’inizio. Eppur qualcosa si muove, e si vede.

I cubani si aspettano che la visita di papa Francesco favorisca una pacificazione con gli Stati Uniti ma intendiamoci: con rispetto di ciò che Cuba è. Tanti, tantissimi attendono miglioramenti economici: «Speriamo che arrivino i turisti americani». Tutto potrà succedere, ma è difficile da immaginare il “come”. Apertura e fine del bloqueo? Lo auspicano in tanti.  Ma senza toccare scuola e ospedali pubblici e gratuiti per il pueblo, “che è combattivo” – come viene ricordato di continuo.

In questa transizione le religioni giocheranno un ruolo importante, forse ancora troppo sottovalutato. La chiesa cattolico romana, quella metodista, battista, avventista, gli ebrei e i musulmani, esistono grazie alle relazioni da sempre attive con Europa e Stati Uniti (anche e soprattutto economiche). Che ruolo riusciranno ad avere nel probabile cambiamento in vista?

Difficile immaginarlo ora, eppure si può dire che quello del 1992 (da stato ateo a laico non confessionale) ha permesso alle chiese e alle comunità religiose di giocare, seppur in maniera ridotta, un significativo ruolo sociale, se pensiamo che «oggi il 15% dei membri della chiesa metodista sono comunisti, e al contempo molti comunisti avvicinatesi alla chiesa – ci ricorda il vescovo – hanno abbandonato la politica». Tutto è possibile, e todo cambia

I cieli di Cuba sono in movimento dunque: c’è quello di Fidel, onnipresente e sentito (papa Francesco ha chiesto a Raul, sabato, di salutare il fratello da parte sua; e domenica è andato a trovarlo a casa); quello del Che, simbolo della giovane forza della rivoluzione, il cui volto è dipinto in ogni angolo di Cuba; quello delle religioni tra cristianesimo, islam, ebraismo e santeria, e quello del mondo internazionale: tinto a stelle e strisce, a stelle su sfondo blu. Ma anche rosso cinese, tricolore messicano; senza dimenticare l’amico del popolo cubano, il Venezuela di Chavez (fino alla morte nel 2013), che negli ultimi 14 anni ha sostituito il ruolo dell’Unione Sovietica.  

Ebbene, a Cuba in una stessa casa vivono fino a quattro generazioni insieme – racconta il pastore battista Idael Pacheco: nella stessa famiglia così si può trovare un pentecostale, un battista, un cattolico-romana e un santero.

La santeria è sempre molto diffusa e praticata sull’isola. Si riconoscono i “santeri” per la veste bianca e le collane colorate al collo: ogni colore corrisponde a un santo o a una santa di riferimento. Le religioni africane vivono in un nuovo “mix” con quella romano cattolica. Si festeggia certamente la Pasqua, ma anche la festa della santerìa (a settembre), si prega santa Barbara e la dea Ochun.

Tutto ciò, tra i passi della salsa cubana e del ballo carribe, si è vissuto quotidianamente per le strade dell’isola, anche attendendo l’arrivo di Francesco, che domenica mattina durante la messa alla Plaza de la Revolucion ha indicato la direzione del cambiamento: «servire la persona e non l’ideologia», e sabato a Raul Castro ha ribadito il bisogno «di riconciliazione in un mondo che vive una Terza Guerra Mondiale a pezzetti».

E con ciò, però, ancora molto rischia di sfuggire tanto alla politica che alle dirigenze delle chiese. Secondo le statistiche vaticane la metà della popolazione cubana sarebbe cattolico romana: «io sono registrato come cattolico», dice però il vescovo della chiesa metodista…

Le statistiche ingannano, perché non esistono censimenti reali sulla membership religiosa della popolazione. Così, per ora, dobbiamo ascoltare le testimonianze: tanti, molti seguono la santeria. E la chiesa metodista, per esempio, negli ultimi tre lustri è cresciuta del 10% all’anno, e si pone obiettivi sempre maggiori in termini di contributo al Paese: «facciamo molto ma vorremmo fare molto di più», conferma il vescovo. 

Questi cambiamenti sono sintomatici, e fanno intuire un movimento non pienamente conosciuto e difficilmente contenibile. La federazione di baseball americana, per esempio, sta già provando a portare i tanti campioni cubani – il baseball è lo sport nazionale, imparato dagli stessi soldati americani prima della rivoluzione –  a giocare sul suolo dei gringos, previo adeguato compenso annuale. Fino a poco tempo fa sarebbe stato impossibile “comprare” giocatori cubani, questi ultimi non avrebbero mai accettato. Ora le condizioni sono però cambiate. 

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Cuba rischia di impoverirsi ancor di più delle proprie eccellenze: ingegneri, professori, medici e sportivi. La paura che questo accada potrebbe produrre effetti opposti ai voluti. Un sintomo preoccupante è il ritardo con cui si procede all’utilizzo delle tecnologie della comunicazione sull’isola: internet non si trova, e dove è accessibile costa dai 2 ai 5 dollari l’ora. 

Si sta iniziando a mettere mano alla questione. Più facile a dirsi che a farsi: connettere con il web Cuba senza cautela vorrebbe dire, per alcuni, rischiare che la situazione scappi di mano. Ecco perché molti si augurano che la transizione futura, qualunque sia, cammini con cautela. Nel frattempo, la proposta di Google di portare gratuitamente un’adeguata rete internet è stata rispedita al mittente.

La piazza di domenica (per la messa del papa) è stata però piuttosto esplicita. In piazza ci va il popolo, lo si sa, e quella di Francesco di popolo ne ha visto un po’ troppo poco. 

Di gente ce n’era, ma siamo molto lontani dal parlare di folle oceaniche – quelle che ci si aspettava. Proprio perché Francesco avrebbe tutte le carte in regola per muovere l’entusiasmo di tutta l’isola caraibica: è argentino (come Guevara), parla spagnolo e sa bene, benissimo, che cos’è l’America latina; parla di povertà e attenzione per chi proviene, come lui, dalla “fine del mondo”. 

E Cuba non è proprio il presidio di prima linea, orgoglioso e sofferente, di quel limite del mondo? E non sta pagando per questo, col bloqueo , la sua fiera indipendenza dal colonialismo?

Francesco è uno del “Sur del mundo”, e rappresenta oggi una chiave di volta preziosa per i rapporti tra Cuba e gli Stati Uniti. Ma la piazza, composta e silenziosa (poco “cubana”), ha parlato da sé: come interpretarla? E’ forse sintomo di quella situazione magmatica e variopinta, poco conosciuta o semplicemente sottovalutata? Sintomo di un popolo che ha altre priorità? Sembra essere un segnale tanto per la Chiesa, quanto per lo Stato.

Insomma, todo cambia, ma ora si fa sul serio. Nos esperamos.

Foto Claudio Paravati