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Voglia di dialogo

Dal 25 al 30 ottobre 2015 tornerà a Roma il Tertio Millennio Film Fest, evento organizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo in collaborazione con il Progetto Culturale della Conferenza Episcopale Italiana, sotto l’alto patronato del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e del Pontificio Consiglio della Cultura. Benché scopo del festival sia l’indagine della spiritualità e del confronto con l’altro, la diciannovesima edizione sarà all’insegna di un’ulteriore e importante apertura. Ne parliamo con Gianna Urizio, presidente dell’associazione protestante cinematografica Roberto Sbaffi.

Qual è la novità di quest’anno?

«La Fondazione Ente dello Spettacolo organizza dal 1997 questo festival con lo scopo di guardare il cinema attraverso una sensibilità particolare, scegliendo “temi legati alla spiritualità, al confronto con l’altro, alla crescita interiore” e privilegiando film non distribuiti o non mainstream ma meritevoli dell’attenzione del pubblico, dando spazio ad anteprime e film restaurati che costituiscono un patrimonio prezioso per la cinematografia.

Grazie alla relazione che l’associazione protestante Roberto Sbaffi ha intrecciato negli anni con la Fondazione, abbiamo cominciato a pensare di poter collaborare per favorire dei percorsi comuni rispetto alla riflessione su quanto il cinema propone in merito alle problematiche sociali, umane, esistenziali, economiche e conflittuali nelle varie società del mondo. Emergono delle inquietudini constatando che le nostre società sono sempre più multiculturali e sul fatto che ci sia bisogno di interculturalità e quindi di interreligiosità.

La novità che mi sembra importante sottolineare, e che forse evidenzia anche un nuovo clima in Vaticano, è la voglia di favorire un dialogo tra le diverse culture e quindi tra le diverse fedi: la proposta della fondazione Ente dello Spettacolo di quest’anno, sulla quale stiamo lavorando da marzo, è stata quello di far scegliere i film a una commissione interreligiosa. Questa giuria non dà premi, ma vuole che i film che costituiscono il Tertio Millennio Film Fest siano un’ispirazione per il pubblico romano. Abbiamo cercato di istituire una commissione che non fosse immediatamente delegata dalle varie fedi e religioni presenti presenti in Italia, ma che in qualche modo fosse portavoce di un patrimonio culturale legata a queste religioni, tra cui quelle musulmana, cristiana (protestante e cattolica) ed ebraica. Per la comunità protestante ci sarà Hans Hodel, per molti anni direttore di Interfilm, e io come coordinatrice».

Come si svolgerà il vostro lavoro?

«Insieme sceglieremo dei film che poi verranno anche giudicati da un altro comitato, laico, composto da persone professionista del cinema.

Le pellicole segnalate passeranno quindi all’esame di questi due gruppi di lavoro per permettere ai rappresentanti religiosi di scegliere senza condizionamenti e ai rappresentanti del cinema di giudicare liberamente e in modo indipendente. I film che verranno proposti non sono per forza a tematica religiosa: l’idea alla base della scelta è quella di riuscire a esplorare le problematiche e le inquietudini umane rispetto alla società contemporanea, lavorare a 360 gradi cogliendo le problematiche che risuonano nelle nostre sensibilità legate a diversi credo, cercare una cinematografia che interroghi la fede, quella protestante come le altre. Vogliamo essere trasversali nella scelta e non trovare un modo per sponsorizzare la propria chiesa.

Domenica 6 settembre, nell’ambito del festival di Venezia, ci sarà un evento pubblico per presentare questo progetto, durante il quale parleranno gli esponenti delle varie fedi: sarà una presentazione plurale perché ognuno possa dire perché è coinvolto in questo percorso.

Quello che a me sembra importante è che si rompe un tabù: cristiani di diverse confessioni decidono di lavorare insieme a ebrei e musulmani anche sul cinema, lasciando intendere che il cinema è uno spazio culturale importante per le nostre società. È la prima esperienza in assoluto nell’ambito cinematografico di una collaborazione di questo tipo; abbiamo delle commissioni miste nelle realtà locali, come la Tavola interreligiosa di Roma che coinvolge ebrei, musulmani e ortodossi, ma in ambito cinematografico è una novità assoluta ed è anche un segnale forte, importante e da perseguire.

Abbiamo lavorato mesi sulla proposta, discutendo e apportando varie modifiche. A fine settembre cardinal Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, convocherà una presentazione del progetto e delle diverse realtà che la compongono e tiene particolarmente alla presenza del moderatore della Tavola valdese, il pastore Eugenio Bernardini».

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Quali circuiti ospiteranno il Festival?

«I film scelti saranno proiettati in tre luoghi: uno più tradizionale che è il Trevi, cinema d’essai di proprietà dell’istituto Luce, la Casa del Cinema di Roma e il cinema Barberini, che invece è una struttura totalmente commerciale e che offre quindi una possibilità per la città di avere un’eco del lavoro della commissione».

Quali sono le caratteristiche del mezzo cinematografico come portatore di messaggi e di condivisione?

«Il cinema parla a tutti, ha dei linguaggi immediati che forse un libro possiede solo in parte. Penso che, come dice Umberto Eco per i libri, il film quando è finito è dello spettatore, nel senso che la comprensione è in mano a chi lo vede. Credo non esista una critica oggettiva del film ma una visione soggettiva e, in questa visione, tutti hanno diritto di parola; quindi è molto bella l’idea che persone, soprattutto giovani, provenienti da ambienti religiosi diversi, possano coi loro sguardi confrontarsi sul film che vedono insieme.

La scommessa, se vogliamo trovare un senso finale, è quella di cercare di costruire con tutti gli ostacoli che ci sono in questo periodo, una vera società interculturale: noi siamo già una società multiculturale, ma la scommessa è diventare interculturali, nel senso di incontrarsi, capirsi e sostanzialmente cambiare: non siamo noi che dobbiamo adeguarci all’immigrato o l’immigrato adeguarci a noi, ma insieme ragionare su che tipo di società vogliamo costruire».

Foto Paolo Ciaberta