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Una piccola storia, una grande lezione

L’Organizzazione mondiale per le migrazioni racconta nei suoi rapporti che il Mediterraneo è il tratto di mare più pericoloso al mondo, con numeri in costante crescita. Spesso, però, sono le storie più piccole quelle che permettono di cogliere la dimensione umana di un fenomeno, e una di queste ha visto l’Italia ricevere martedì una condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per trattamenti definiti “degradanti”.

La vicenda risale al settembre 2011, quando i paesi del Maghreb e l’Egitto erano scossi politicamente dalle “primavere arabe” e in Italia si era coniato il termine “emergenza Nordafrica” per designare il grande flusso di persone che cercavano di sfuggire alla violenza e all’instabilità delle loro terre di provenienza, ed è una storia come tante. Tre cittadini tunisini erano stati soccorsi da una delle navi militari italiane che presidiavano le coste, portati a Lampedusa e trattenuti nel centro di identificazione ed espulsione per cinque giorni, per poi essere trasferiti su una nave di fronte al porto di Palermo, adibita a centro di detenzione temporanea, e infine rimpatriati in Tunisia.

Una storia come tante, che come molte altre sarebbe rimasta oscurata dai grandi numeri delle migrazioni se non fosse stata intercettata dagli avvocati associati all’Asgi, l’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. Due di loro infatti, Luca Mario Masera e Stefano Zirulia, avevano visitato il centro di Lampedusa due mesi prima, a luglio, e si erano resi conto già allora che la situazione era potenzialmente insostenibile dal punto di vista giuridico, con la trasformazione di un centro di accoglienza in un centro di detenzione. «Non volevamo lasciarci trasportare dalla rassegnazione che non si potesse fare nulla per cambiare le cose – spiega Masera –, e quindi siamo andati in Tunisia, siamo riusciti a entrare in contatto con dei ragazzi che erano stati appena espulsi e abbiamo fatto questo ricorso».

Secondo i giudici, lo Stato italiano ha sottoposto i tre uomini a un trattamento degradante a causa delle condizioni in cui si trovava il centro di Lampedusa, con sanitari sprovvisti di porte, sovraffollamento, mancanza di acqua, un numero insufficiente di materassi e soprattutto il divieto di contatti con l’esterno, che ha portato anche alla condanna dell’Italia per la violazione del diritto alla libertà e alla sicurezza. I tre tunisini, infatti, erano stati detenuti senza che alcuna legge lo prevedesse e senza essere stati informati della possibilità di presentare ricorso. La Corte, infine, ha stabilito che l’Italia ha violato il divieto alle espulsioni collettive nel momento in cui ha rispedito i tre a Tunisi dopo averli imprigionati su una nave attraccata nel porto di Palermo.

Secondo la Corte di Strasburgo, la detenzione e l’espulsione da Lampedusa dei tre migranti, fuggiti dalla Tunisia dopo le rivolte della “primavera araba”, era illegale e in violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

«È una decisione che ritengo molto importante – racconta ancora Masera – proprio perché, benché adesso la stampa cerchi un po’ di ridurne l’importanza parlando soltanto di una condanna per tre cittadini tunisini, ha una portata molto più generale, e vale per tutti coloro che si trovavano in quelle condizioni. La corte afferma tre punti fondamentali che sono importanti anche per quello che è il dibattito attuale su cosa fare in futuro per gestire questo fenomeno».

In effetti, non si può pensare che i principi affermati dalla Corte possano fare giurisprudenza in sé e per sé, ma vanno letti proprio in linea generale, come strumenti per comprendere cosa sia lecito e cosa no nell’ottica della gestione dell’arrivo di stranieri senza permesso di soggiorno e della loro eventuale espulsione.

Per esempio, nella sentenza si afferma in modo molto chiaro che il concetto di irregolarità non può essere disumanizzato, non può quindi essere legato soltanto alla nazionalità:. I tunisini, secondo Masera, sono un esempio classico, perché non sono tecnicamente dei richiedenti asilo e quindi vanno incontro alle espulsioni in modo indiscriminato. «La corte ci dice che questo non è possibile se prima non si è data la possibilità a ciascuno di far valere le proprie ragioni».

Come si è già detto, questa storia risale al 2011, ai tempi del governo Berlusconi e di Roberto Maroni ministro dell’interno, in una stagione in cui la politica forse più di ogni altra volta ha voluto mostrare intransigenza nei confronti del superamento dei confini nazionali. Oggi, probabilmente, vicende come questa non si potrebbero più verificare con le stesse modalità. «Forse – racconta ancora Masera – anche i ricorsi hanno avuto un ruolo, perché li abbiamo sempre comunicati al governo. Già nel 2012, comunque, il governo Monti si era reso conto che questa prassi di chiudere nei centri d’accoglienza gli stranieri irregolari era inammissibile e aveva modificato le regole sulla libertà di circolazione delle persone». Tuttavia, se si guarda alla filosofia generale di approccio al problema sembra che i cambiamenti non siano stati molti, e il nostro paese rimane ancora oggi sotto gli standard di accoglienza di altri paesi europei. Sono ancora delle sentenze a raccontarcelo: «ci sono diverse decisioni di giudici di altri paesi che non rinviano in Italia degli stranieri che dovrebbero venire nel nostro paese secondo le regole di Dublino, scrivendo nelle sentenze che il sistema italiano non raggiunge lo standard di decenza minimo».

Eppure, la situazione di oggi va vista anche come un’opportunità per ripensare al sistema nel suo complesso. Almeno dieci paesi, tra cui anche l’Italia, sono appena stati richiamati dalla Commissione europea per il mancato rispetto delle regole sull’asilo e sull’identificazione dei migranti, e la risposta non può che essere unitaria. Il 14 settembre i capi di stato dell’Unione si incontreranno per elaborare strategie comuni e forme di risposta fondate non soltanto sulla volontà dei singoli Paesi. L’Europa, e non solo l’Italia, sul piano dell’umanità si giocano un pezzo importante di futuro.

Foto di Noborder Network via Flickr | Licenza (CC BY 2.0)