2015-08-24_21

Profughi: i cristiani e le loro responsabilità

I cristiani sono chiamati a un compito ben preciso: come il samaritano che non passò dall’altra parte della strada, non possono far finta di niente di fronte al dramma che fa del Mediterraneo, in questi ultimi tempi, il confine più pericoloso e mortifero del mondo. I cristiani non possono fare tutto, ma non possono derogare a quella che è la loro ragion d’essere, al di là di qualsivoglia confessione e denominazione.. Sarà poco? Per chi si salva e inizia una nuova possibilità di vita è tanto, forse tutto.

Le parole del pastore Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola valdese, hanno tirato le somme al termine della serata pubblica del lunedì sinodale intorno al tema L’Europa comincia a Lampedusa, imperniata sui quattro aspetti dell’attività delle chiese valdesi e metodiste e anche della Federazione delle chiese evangeliche in Italia/Fcei (sostenuti dall’otto per mille valdese), aspetti ricordati in apertura da Paolo Naso: l’osservatorio sulle migrazioni a Lampedusa; la Casa delle culture a Scicli, rivolta particolarmente ai soggetti più deboli (minori non accompagnati, donne in stato interessante); l’Ufficio per la ricollocazione dei migranti; il progetto di corridoio umanitario, finalizzato a prevenire le morti in mare.

Marta Bernardini, operatrice a Lampedusa per l’operazione Mediterranean Hope da un anno e mezzo, ha parlato dell’esodo epocale che sull’isola siciliana trova un provvisorio capolinea. Ma l’Europa – si è chiesta – inizia o finisce a Lampedusa? Qui chi sbarca (se non muore in viaggio) trova una prima sponda; ma questa stessa Europa cessa di essere terra di salvezza, e diventa terra di precarietà per chi costretto a vivere nel sottobosco dello sfruttamento. Allora la nostra idea di Europa si sposta ancora: di nuovo si fa più in là: ritorna nei paesi di provenienza dei profughi, inizia in quei Paesi che vengono depredati in casa loro, a cui vengono sottratte risorse, in cui vengono mantenute surrettiziamente delle dittature sconce. E, si potrebbe aggiungere, a quei Paesi vengono sottratti anche gli elementi più in gamba, che per disperazione cercano un futuro nel nostro vecchio e politicamente bolso continente.

Yvan Sagnet, camerunense che non nasconde di essersi innamorato dell’Italia assistendo da bambino ai mondiali di calcio teletrasmessi, fa ora il sindacalista, dopo esser venuto a contatto con alcune delle realtà peggiori del nostro Paese. Per poter sostenere gli studi ha trovato lavoro nella raccolta di pomodori e angurie nella zona di Nardò (Lecce): qui ha conosciuto il caporalato, uno sfruttamento fatto di orari impossibili, quotidiane vessazioni, sforzi fisici insopportabili, che sono costati la vita a un lavoratore sudanese poco tempo fa. Con altri «raccoglitori» ha fatto sciopero, il primo del settore. Una battaglia in parte vinta: in seguito alle loro pressioni, una legge è stata approvata per contrastare il caporalato); quello che ognuno può fare, è cercare di capire da dove vengono frutta e verdure che quotidianamente consumiamo, che a volte grondano sangue.

Ultimo fra gli oratori (assente per motivi di salute il pastore Massimo Aquilante, presidente della Fcei), Mario Marazziti, deputato e presidente della Comm. Affari Sociali della Camera, tra i fondatori della Comunità di S. Egidio. Nel suo intervento ha delineato le varie forme che il male assume in campo sociale, proprio nel fenomeno della fuga da Paesi ormai invivibili: sfaldati, che si trovano in guerra, o in guerre civili. Paesi i cui cittadini si trasformano in profughi, magari trovando rifugio in nazioni limitrofe, che sembrerebbero strutturalmente inadeguate ad accoglierli (il Libano, grande meno della Sicilia, accoglie un milione di profughi siriani – e in Europa si parla di invasione, per 70.000 siriani scampati alla disperazione e ai tagliagole).

Deve per questo la politica rinunciare al proprio compito? No, risponde Marazziti: qualcosa si può fare; l’Europa, finora sorda alla dimensione e alla svolta epocale che il fenomeno rappresenta, dovrebbe invece decidersi a intervenire sui flussi delle partenze dando loro una logica, aprendo corridoi umanitari affinché i viaggi siano sottratti all’arbitrio degli scafisti. Un possibile segnale di speranza giunge, intanto, dalla prima legge sulla cittadinanza, che potrebbe essere approvata in settembre, per cui assisteremmo alla nascita di una prima generazione di bambini nati in Italia e italiani a tutti gli effetti.

Gli interventi hanno trovato un prezioso contrappunto nelle esecuzioni del Duo Pizzulli (Maria Teresa, pianoforte; Carmela, voce e violino): spiritual, una canzone delle valli valdesi, e il movimento lento della IX Sinfonia Dal nuovo mondo di Dvorak, composto sulla base di canti dei nativi americani: storie di sofferenza, ma anche di fede e speranza.

La chiave di volta, diceva il Moderatore, è che ognuno faccia la propria parte senza sottrarsi alle proprie responsabilità: questo fanno le chiese evangeliche, che operano in Sicilia ma anche nell’ospitalità nelle valli valdesi, a Torino e a Milano, in piccoli gruppi sostenibili, e lo fanno sapendo di non essere sole. Sono infatti importanti i messaggi che il Sinodo valdese ha ricevuto da rappresentanti delle chiese metodiste della Gran Bretagna o dalle chiese della Westfalia e Renania: chiese che si rivolgono ai loro rispettivi governi per chiedere che finalmente considerino queste migrazioni come un fenomeno europeo. Di nuovo, ognuno faccia la propria parte.

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Foto Anna Lami