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A Napoli presidio sotto la Prefettura in sostegno dei profughi accolti nella chiesa valdese e metodista del Vomero

Nulla di fatto. Dopo circa 8 ore di presidio dinanzi alla Prefettura di Napoli, nella immensa e assolata Piazza del Plebiscito, non è arrivata la risposta del Prefetto in merito alla richiesta di sospensione del provvedimento con il quale sono state revocate le misure di accoglienza per i 18 profughi espulsi il 29 luglio scorso dalla struttura «Villa Angela» a Terzigno (Na), e ospitati ormai da una settimana presso la chiesa valdese e metodista del Vomero.

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Ieri i primi ad arrivare in piazza sono stati i 17 giovani profughi (uno di loro al momento dell’espulsione è scappato via per paura) insieme alla pastora valdese Thesie Müller: mamà – così la chiamano affettuosamente i giovani africani per i quali è diventata un punto di riferimento importante in questa vicenda. Vicenda che – come abbiamo già avuto modo di raccontare – comincia quando 18 profughi ospitati a Villa Angela vengono espulsi dal Prefetto che revoca le misure di accoglienza nei loro confronti. Il provvedimento prefettizio avviene a seguito della denuncia del gestore della struttura che accusa i profughi di aver provocato danni a cose e procurato lesioni a due operatori. In realtà, si tratterebbe di una ritorsione nei confronti dei migranti, dopo che uno degli ospiti ha documentato con foto e video il degrado della struttura (sovraffollamento delle camere, mancanza di servizi igienici adeguati, corsi di lingua inesistenti), che viene reso pubblico sui siti di alcuni giornali.

È la chiesa valdese e metodista del Vomero che subito apre le sue porte, pur di non lasciare in strada i 17 profughi. Intanto si attiva l’associazionismo locale, che comincia a fare pressione sulla Prefettura affinché riveda il provvedimento. Nella serata di lunedì 3 agosto il legale delle Acli che segue la vicenda invia in Prefettura le memorie difensive dei ragazzi espulsi da Villa Angela.

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«Le persone che hanno avuto il provvedimento non sono state mai ascoltate dalle autorità – spiega Maurizio D’Ago, avvocato delle Acli –, quindi innanzitutto abbiamo raccolto le loro dichiarazioni. Dopodiché, abbiamo raccolto anche le testimonianze di due persone che hanno assistito ai fatti e che non sono destinatari dei provvedimenti. Da questo materiale sono emersi elementi che escludono la responsabilità dei ragazzi: non sono stati commessi atti di violenza né contro persone né contro cose che legittimano la revoca del diritto all’accoglienza».

In attesa dell’esito dell’inchiesta che il Prefetto sta conducendo per verificare quanto realmente accaduto nella struttura di Terzigno, si decide di essere in piazza, di stare fisicamente accanto a questi ragazzi che la burocrazia e l’emergenza trasformano con troppa semplicità in numeri o peggio in “pacchi” da smistare da un posto all’altro. Si sta in piazza perché in quei profughi si riconoscono delle persone con un volto e una propria storia. Così, nonostante sia il 5 agosto e si sfiorino i 37°, a poca distanza dai cancelli del palazzo della Prefettura, i presenti superano la cinquantina: oltre a rappresentanti delle chiese evangeliche valdesi, metodiste, battista, avventista, luterana, dell’ospedale evangelico Villa Betania, ci sono alcune delle associazioni che si sono mobilitate sulla vicenda: «3 Febbraio», Acli, Arcigay, Hamef, La Quercia, La Comune. Ci raggiunge anche don Gaetano Castello, delegato per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della diocesi di Napoli.

 

La protesta incalza

Posted by Salvatore Cortini on Giovedì 6 agosto 2015

I ragazzi reggono lo striscione colorato che hanno realizzato la sera prima, che riporta lo slogan della campagna di solidarietà «Io sono come te: accoglimi!». Sono volti sorridenti, si lasciano fotografare, rispondono alle domande dei giornalisti. Raccontano i disagi vissuti a Villa Angela, ma anche i momenti di aggregazione e fraternità vissuti in una sola settimana durante la quale, oltre alla condivisione dei pasti, alla distribuzione di vestiti, sono stati coinvolti in una visita al Museo nazionale e in una partita di calcio presso il Centro sociale «Casa Mia-E. Nitti» di Ponticelli (Na). «È nella chiesa valdese che abbiamo sperimentato veramente cosa significa la parola accoglienza», mi dice Ekomano N’Dabosson della Costa D’Avorio, «dove ci è stato offerto non solo cibo, ma abbracci, sorrisi e anche momenti di svago».

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Si aspetta che una delegazione venga ricevuta in Prefettura. Intorno alle 12,30 salgono nel palazzo: la pastora Müller, l’avv. D’Ago, Gianluca Petruzzo dell’ass. 3 Febbraio e due profughi. Passa quasi un’ora. Finalmente ritornano: le espressioni dei volti non dicono nulla di buono. Sono stati ricevuti da un delegato dell’ufficio di gabinetto della Prefettura: le memorie sono state ricevute, lette, ma prima di emettere un parere è necessario del tempo. La vice prefetto con delega all’immigrazione, la dr.ssa Gabriella D’Orso, comunque, fa sapere che entro un paio di ore comunicherà l’esito dell’inchiesta.

«Le soluzioni possibili sono tre – spiega Gianluca Petruzzo -. In primo luogo la revoca del provvedimento: in questo caso i profughi sarebbero subito reintegrati nel programma di accoglienza. In secondo luogo ci potrebbe essere l’applicazione di una sanzione nei confronti di soggetti che fossero eventualmente stati trovati responsabili di reati; in terzo luogo, ci potrebbe essere la sospensione del provvedimento a carico dei profughi: mentre si accertano in modo più preciso le responsabilità delle persone, i migranti verrebbero trasferiti in altre strutture, senza che questo sia in conflitto legale con l’espulsione della Prefettura».

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C’è da aspettare. Il sole picchia forte. Ci si ripara sotto il porticato della basilica di S. Pietro e Paolo. Si va a prendere dell’acqua fresca e dei tranci di pizza. I ragazzi chiacchierano con gli italiani in francese, in inglese, qualcuno abbozza semplici frasi in italiano come Amidou, 33 anni della Costa D’Avorio, sbarcato a Catania qualche mese fa. «Io figlio 9 anni – mi dice – io qui per lui».

C’è ancora da aspettare. Noi italiani cominciamo a sentire il peso dell’attesa: guardiamo gli orologi, controlliamo i cellulari, cominciamo a formulare ipotesi. I ragazzi sono tranquilli, parlano tra di loro con calma, nei loro occhi non c’è disperazione; il loro sguardo non è perso in un vuoto indefinito, ma guarda lontano verso il futuro: nonostante tutto quello che hanno vissuto, è come se avessero una riserva di pazienza, forza e speranza necessarie ad affrontare quest’ennesima prova.

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Le ore passano. Veniamo informati che in Prefettura è giunto anche l’interessamento della Curia di Napoli. Forse questa volta, qualcosa si smuoverà?

Nulla. Intorno alle 18 quelli che hanno resistito a presidiare la piazza dal mattino, ricevono la comunicazione della vice prefetto D’Orso che la risposta non arriverà prima dell’indomani mattina: un video acquisito come prova non è quello giusto. Si è fatto tardi, lei deve tornare a casa.

«Sono sfiduciata e molto preoccupata per la risposta che la Prefettura ha rimandato a domani – ha detto con amarezza la pastora Thesie Müller -. Non mi è chiaro se la motivazione del rinvio è legata al video errato visionato, o sia un pretesto per non darci una risposta… Ma forse è solo la stanchezza che in questo momento mi fa perdere il mio solito ottimismo. Aspettiamo domani».

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I 17 ragazzi hanno trascorso la notte ancora nella chiesa valdese e metodista del Vomero. Oggi il presidio continuerà davanti alla Prefettura in attesa dell’esito dell’inchiesta in corso. Se questo non dovesse esserci neanche oggi, da questa sera i ragazzi si sposteranno presso la sede del Patronato delle Acli, in corso A. Lucci a Napoli, per sollevare la comunità valdese e metodista del Vomero che per giorni ha sostenuto il carico maggiore della vicenda. Presso la nuova sistemazione i ragazzi dovranno arrangiarsi su materassini, i bagni ci sono (senza doccia), mentre non c’è la cucina. Non è ancora un luogo dove poter offrire una accoglienza degna di questo nome, ma è comunque un tetto sotto il quale i 17 ragazzi possono trovare riparo.

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