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La Grecia è sola. Anche nella gestione dei profughi

Sull’isola di Lesbo, in Grecia, negli ultimi mesi il flusso di migranti che cercano di raggiungere il nord Europa è aumentato in modo esponenziale. Ma l’isola è molto piccola, e non è preparata a grandi numeri di transitanti: c’è un campo profughi per l’accoglienza, ma la municipalità di Mitilene è stata costretta ad aprirne un secondo. In entrambi però le condizioni di vita delle persone sono al limite della dignità. Paolo Tognina, teologo e giornalista della Radiotelevisione Svizzera Italiana, è appena tornato da quei luoghi e ci ha raccontato l’altra faccia della Grecia di questi mesi.

Quale situazione ha trovato sull’isola?

«Mitilene è la località principale dell’isola di Lesbo ed è dove i migranti vengono registrati. Dopodiché vengono inviati nei due campi di accoglienza: Moria e Kara Tepe. Il primo, ufficiale, è destinato ad accogliere circa 500 persone e oggi ne ospita circa 3000. Una situazione caotica in una struttura non predisposta per numeri così importanti. La municipalità ha aperto un secondo campo, decisamente improvvisato, per accogliere gli esuberi del campo di Moria: accoglie circa 1000 persone senza nessuna particolare struttura, se non alcune tende dell’esercito. Non ci sono servizi igienici, infermeria, alcun controllo o sorveglianza. Una situazione caotica di grande degrado, piuttosto esplosiva e pericolosa per l’igiene, ma anche per le tensioni tra vari gruppi di profughi».

Da dove arrivano queste persone?

«L’isola di Lesbo, nella sua parte settentrionale è vicinissima alla costa turca, circa 12 km. I profughi arrivano dalla Turchia e sono in maggioranza siriani, ma abbiamo incontrato anche degli iraniani, iracheni, afgani e pachistani. Ci sono anche africani per i quali immagino un percorso lunghissimo per arrivare fino a lì. Una volta raggiunta Lesbos l’obiettivo è proseguire verso Atene e da lì verso il nord Europa».

A chi è affidata l’accoglienza dei profughi? Allo Stato? Ad associazioni di volontariato?

«Attualmente manca quasi tutto, lo Stato non è in grado di fare fronte all’arrivo in massa di profughi. Ho parlato con il sindaco di Mitilene che ha detto di aver fatto il possibile per la municipalità. Sono presenti polizia e guardia costiera che non ha personale a sufficienza: una situazione fuori controllo. Non ci sono organizzazioni che si stanno occupando dei profughi: abbiamo incontrato un gruppo di persone dell’Unchr che stavano semplicemente compiendo una perlustrazione per capire le necessità, la portavoce ci ha spiegato che finché non hanno un’invito ufficiale da parte delle autorità greche non possono intervenire in modo massiccio. Medici senza frontiere avvierà alcune iniziative per garantire le cure mediche nei campi: molte persone stanno male per il caldo, molti bambini hanno la dissenteria, c’è poca ombra, e scarsità di acqua e cibo. Ci sono alcune iniziative private o locali, alcune Ong greche che fanno un grande lavoro, che però non è sufficiente con questi numeri. Anche farsi comprendere è complicato, nei campi mancano i traduttori e spazi di informazione. Alcune persone chiedevano a noi, troupe di giornalisti, le informazioni più semplici».

Come ripartono i profughi dall’isola?

«Una volta ottenuto un permesso provvisorio che certifica la propria identità, per quanto la polizia abbia potuto stabilire, ripartire da Lesbo non è difficile perché c’è un traghetto che parte ogni sera per Atene. Il prezzo è di 43 euro per un viaggio che dura tutta la notte, ma che avviene in sicurezza, a bordo di un regolarissimo traghetto. Il problema, più che partire quindi, è arrivare a Lesbo, aspetto che si risolve anche qui in termini di soldi: per arrivarci dalla costa turca sono circa 1000€. I siriani devono pagare di più, circa 1500 €. Da Atene in poi ricominciano i problemi, poiché serve riprendere contatto con dei passatori. Abbiamo incontrato gli operatori di una piccolissima Ong cristiana mennonita che distribuivano indirizzi di organizzazioni che possono aiutarli a dei mezzi regolari e sicuri per proseguire il viaggio evitando di entrare in contatto con i passatori ad Atene».

Cosa vi hanno raccontato queste persone?

«Sono stato colpito dalla loro grandissima pazienza, in una condizione di disagio. Chiedevano acqua, cibo e cure per i bambini, la loro grande preoccupazione in quel momento. Poi raccontavano del loro viaggio, dei respingimenti subiti: la guardia costiera greca, che solitamente li aiuta, a volte aggancia i gommoni e li trasporta in acque turche, nella speranza che vengano riportati indietro. Piccole odissee in mare prima di riuscire a superare quei 12 km. Poi le guerre da cui fuggono: i siriani sono sorpresi se si chiede loro della guerra, si chiedono come possiamo non sapere tutto di quel conflitto, di come sono terrorizzati da quello che sta succedendo e delle violenze del califfato. Ma nei racconti c’è anche la voglia di andare avanti, di riuscire a superare il viaggio. Molti di loro hanno dei parenti che li aspettano in diversi paesi d’Europa».

In questi mesi la Grecia è raccontata per la sua economia, ma anche l’aspetto dell’accoglienza è importante per l’Europa. Che ne pensa?

«La Grecia vive un periodo talmente drammatico dal punto di vista economico che è comprensibile che si parli soprattutto di quello. Bisogna anche dire che questo grande arrivo di profughi a Lesbo è iniziato soltanto a maggio. Fino a quel punto c’erano degli afflussi importanti, ma non di queste proprozioni. Il perché è difficile dirlo: i flussi possono cambiare da un giorno all’altro in base a molti fattori: ad esempio lo spostamento del fronte di guerra in Siria può aprire o chiudere determinate vie di fuga, cosa che fa variare il flusso delle persone che scappano. Una donna greca si stupiva di come i media parlassero poco della situazione, forse per i pochi morti: purtroppo le logiche dei media sono assurde, a volte. Inoltre è sconfortante vedere quanto poco venga intrapreso dall’Europa per far fronte alle grandi necessità create da questo afflusso: le cifre dell’accoglienza sono inadeguate, è pazzesco pensare alla resistenza e all’egoismo di questi mesi. Per esempio, secondo il calcolo dell’UE, una delle repubbliche baltiche dovrebbe accogliere 512 persone, ma ha rifiutato poiché dice che sarebbe oltre alle proprie capacità. Su 500 milioni di abitanti in Europa, si tratta di accogliere 200 mila persone: come è possibile che non ce la si faccia? In un continente grande, ricco e capace di tante iniziative, il fatto che non si possano aprire le porte in modo ragionato, è un puro indice di egoismo e chiusura. Ed è inaccettabile per l’Europa».

Copertina: Foto Paolo Tognina