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Cambio di genere, la Cassazione dice sì

Lunedì 20 luglio la Corte di Cassazione ha stabilito il riconoscimento del cambio di genere di una persona che riteneva di non doversi sottoporre all’intervento chirurgico. Questa decisione, fondata su un’interpretazione della legge 164 del 1982 che regola la rettificazione degli atti di stato civile, segna un nuovo capitolo nel riconoscimento dei diritti delle persone transessuali.

Nei fatti, la Cassazione ha deciso di accedere a un’interpretazione della legge in vigore in Italia in base alla quale nessuno può essere costretto a sottoporsi ad interventi chirurgici di menomazione della propria identità psicofisica se non lo richiede. «Soprattutto – racconta Antonio Rotelli, avvocato della Rete Lenford, avvocatura per i diritti delle persone Lgbt – non può essere costretta a un intervento sui caratteri primari per godere di un proprio diritto fondamentale, come quello della realizzazione della propria identità di genere».

La decisione del massimo grado della nostra giustizia conclude un percorso cominciato 7 anni fa. Era infatti il 2008 quando Sonia Marchesi, in origine Massimiliano, piacentina di 45 anni, aveva chiesto prima al tribunale di Piacenza, e poi in appello a quello di Bologna, di poter cambiare sesso e nome all’anagrafe pur non avendo mai compiuto l’operazione ai genitali. Entrambe le richieste furono respinte, ma l’ultimo giudizio ha invece deciso di darle ragione. «La Cassazione – continua Rotelli – ritiene che questo intervento non possa essere imposto obbligatoriamente a chi abbia già raggiunto un proprio equilibrio psicofisico. Soprattutto, sottolinea che in un bilanciamento di interessi tra l’interesse pubblico alla certezza degli stati giuridici e i riflessi che ci possono essere sulla famiglia e sulla filiazione, il giudice accerti la presenza della disforia e del fatto che la persona voglia transitare dal sesso assegnato alla nascita al sesso di elezione, da un genere all’altro». Nel caso specifico, infatti, la Cassazione ha stabilito che, in conseguenza di numerosi trattamenti estetici ed ormonali, Sonia aveva raggiunto la piena armonia con il proprio corpo, superando «l’iniziale conflitto – recita la sentenza – tra il proprio sentire psichico e la condizione anatomica».

Certo, l’obiezione naturale è che questa sentenza cambi poco all’atto pratico, perché l’Italia non è un paese di common law e di conseguenza il giudizio della Cassazione non ha valore normativo. Eppure questa decisione dovrà essere tenuta in considerazione da parte delle corti inferiori, le quali, quando si troveranno di fronte una persona che chiede la rettificazione degli atti di stato civile senza sottoporsi ad intervento chirurgico, non potranno che accogliere il ricorso.

Rimane aperta, per i tribunali che volessero opporsi alla più recente interpretazione, la possibilità di sollevare la questione davanti alla Corte Costituzionale, anche se esiste già un caso, sollevato dal tribunale di Trento, che il 10 ottobre arriverà in quella sede e che, secondo la Rete Lenford, «con ogni probabilità confermerà quanto deciso dalla Cassazione».

In seguito alla sentenza del 20 luglio, accolta con grande soddisfazione dai movimenti e dalle associazioni che si battono in favore dei diritti delle persone transessuali, Arcigay ha chiesto che la politica approvi una nuova legge che, si legge nel comunicato, «accolga in maniera ancora più chiara ed inequivocabile il principio del diritto all’autodeterminazione delle persone trans, conseguenza diretta della depatologizzazione della transessualità, attraverso una semplificazione delle procedure». La legge 164 del 1982 ha in effetti compiuto 33 anni, e anche secondo Antonio Rotelli «porta i segni del tempo». Va però detto che il riconoscimento per chi chiedesse una rettifica senza volersi sottoporre a un’operazione potrà avvenire sin da subito. «La nostra legge – prosegue Rotelli –non ha mai imposto l’intervento chirurgico. La legge dice una cosa molto chiara, cioè che “quando necessario la persona si sottopone all’intervento chirurgico”, quindi autodeterminandosi. Se non è necessario al suo equilibrio psicofisico no”.

Uscendo dai nostri confini, questa decisione della Cassazione è coerente con una sentenza recente della Corte europea dei diritti dell’uomo e con le leggi varate in Danimarca, Malta e Irlanda, dove non viene più richiesto l’intervento chirurgico per il cambio nei documenti. Tuttavia, per le persone transessuali nel nostro paese non rappresenta la fine del percorso di riconoscimento dei propri diritti. «Vi è ancora oggi – conclude Antonio Rotelli – una grande discriminazione a livello sociale che si riflette in primo luogo sulla possibilità delle persone di trovare lavoro, fare carriera, avere quelle garanzie minime per poter condurre una vita dignitosa, e su questo bisogna che tutti si lavori perché una persona non può essere discriminata per il suo aspetto e non può essere discriminata per la sua disforia di genere».

Foto via Pixabay