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Bruciano le chiese Usa

Son ben sei le chiese frequentate per lo più dalle comunità afroamericane ad aver preso fuoco negli ultimi quindici giorni negli Stati Uniti. Inevitabile che l’ombra del razzismo dia agli eventi una luce spettrale, riaprendo ferite evidentemente mai sanate.

La recente strage di Charleston del 17 giugno (9 i morti), le susseguenti polemiche sull’opportunità del ritiro dagli edifici pubblici della bandiera degli stati federati del sud, simbolo del razzismo coloniale, e ora questi incendi: gli Stati Uniti d’America tornano a fare i conti con il proprio passato. Ad ardere anche la chiesa di Mount Zion a Greeleyville, in Carolina del Sud, ad un centinaio di chilometri da Charleston. Si tratta di un simbolo nazionale da quando, proprio vent’anni fa, nel 1995, venne data alle fiamme una prima volta. Per l’inaugurazione dopo il rogo scese da Washington anche l’allora presidente Bill Clinton, eleggendo Mount Zion a simbolo della lotta al razzismo entro i confini statunitensi.

Nonostante gli inquirenti si mantengano molto prudenti, segnalando come alcuni degli incendi potrebbero essere dovuti a cause naturali, vista anche l’altissima concentrazione di temporali che sta interessando la zona negli ultimi giorni, mano a mano che passano le ore uno dopo l’altro si stanno rivelando  in realtà di natura dolosa.

A far da corollario ad un clima certo non disteso anche la dichiarazione dei vertici del Ku Klux Klan, l’organizzazione razzista che lega il proprio nome ad alcune fra le pagine più ignobili della storia a stelle e strisce, e che ancora conta qualche migliaio di militanti: la soppressione della bandiera confederata viene da loro letta come un inaccettabile affronto alla storia della nazione e alla memoria di tutti gli abitanti del sud morti combattendo le forze federali.

Discorsi che credevamo appartenessero ai libri di testo oramai, e che invece sono sempre di stretta e triste attualità.

Foto: La chiesa di Mount Zion in fiamme, da Twitter