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Via Vittorio Emanuele III: la nostra bandiera confederata

Dopo la strage nella chiesa metodista afroamericana di Charleston, in molti hanno chiesto di togliere la bandiera confederata dagli edifici pubblici degli Stati che persero la Guerra di Secessione nel 1865. Chi è stato negli Stati Uniti del sud si sarà stupito di vedere infatti la bandiera del generale Lee sventolare davanti agli uffici governativi, ancora dopo ben 150 anni dalla vittoria unionista. La bandiera confederata ricorda i campi di cotone, lo schiavismo, la vendita in piazza di uomini, donne e bambini neri come fossero carne umana importata dall’Africa. Non era Via col vento, ma Django Unchained.

A noi italiani appare quantomeno bizzarro, se non vergognoso, che in America ci siano ancora uffici pubblici che sventolano con fierezza il simbolo di una storia vergognosa.

Ma in Italia come siamo messi? Non meglio.

In Italia ci sono, infatti, ancora strade, gallerie, ponti, scuole, caserme, ospedali, addirittura la Biblioteca Nazionale di Napoli, che sono intitolati a Vittorio Emanuele III. Questo nome è legato alle Leggi Razziali: Vittorio Emanuele III fu il sovrano che, firmandole e promulgandole, tradì quei cittadini ebrei delle cui vite era il massimo responsabile in terra.

È un momento buio nella nostra storia, forse il momento più buio del già oscuro Ventennio fascista. Le Leggi Razziali declassarono a nemici della razza italica — qualunque cosa questa espressione volesse dire — uomini, donne e bambini ebrei, che erano fino a quel momento sudditi e cittadini della monarchia, persone che contribuivano al destino del nostro paese.

Da un giorno all’altro, professori persero la cattedra, bambini e giovani non poterono più andare a scuola e altre ingiustizie furono perpetrate. Esseri umani, nostri concittadini, vennero deumanizzati, fino alla naturale conseguenza della deportazione nei lager nazisti, alla morte di circa seimila ebrei italiani solo ad Auschwitz. Molti emigrarono e si rifugiarono in altri paesi, tra cui proprio gli Stati Uniti.

Il delirante e criminale Manifesto della Razza risultò firmato da dieci scienziati italiani. Tanti si macchiarono di sostenere la svolta antisemita del Regime. Mussolini, addirittura, si vantava di averlo scritto lui. Tuttavia, la firma definitiva su quelle leggi fu messa da Vittorio Emanuele III.

Ancora oggi, a 70 anni dalla liberazione, a 77 anni da quell’infame gesto, il nome di Vittorio Emanuele III appare su decine, forse centinaia di luoghi pubblici: sarebbe ora che quel nome fosse sostituito con i nomi di ben altri italiani, magari proprio di ebrei espulsi dalla vita pubblica italiana a causa di quelle leggi.

Non si tratta di rimuovere la storia o di buttare giù monumenti, quanto piuttosto di prendere atto della storia, di come sono andate le cose. Si tratta di rendere giustizia alla storia, alle cittadine e e ai cittadini ebrei italiani che persero ogni diritto in maniera arbitraria da un giorno all’altro. Sarebbe un gesto di riparazione importante dopo che tanti italiani non ebrei approfittarono come dei rapaci nel ricoprire i posti di lavoro che gli italiani ebrei furono costretti a lasciare liberi, nelle università, nei tribunali, nell’esercito. Sarebbe un importante atto di riconciliazione nazionale. Sarebbe una battaglia che potremmo fare insieme come chiese e comunità religiose, come associazioni laiche che promuovono un’Italia dove non ci sia più spazio per il razzismo. Sarebbe una possibilità di azione comune, di unità.

A noi appare strano vedere la bandiera confederata sventolare nei palazzi pubblici americani. Noi, cittadine e cittadini italiani, non possiamo fare nulla per toglierla da lì, ma possiamo chiedere e ottenere il cambio di intestazione ai luoghi pubblici intitolati a Vittorio Emanuele III.

Io lo chiedo. Chi altri?