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Scuola: non esiste una «teoria gender»

Sostenere che nella scuola pubblica italiana i nostri figli debbano essere difesi dall’insegnamento della «teoria del gender» è un’operazione molto pericolosa che rischia di andare al di là dei reali obiettivi che si propone, essenzialmente contrastare l’introduzione nelle scuole di progetti di educazione alla sessualità e affettività e gettare fango sulle unioni civili e le adozioni per le coppie omoaffettive, arrivando a fomentare le discriminazioni di genere, l’omofobia e la transfobia.

Chiariamo innanzitutto che non esiste una teoria del gender (o del genere) poiché molte sono le ricerche svolte sui diversi modelli educativi applicati ai maschi e alle femmine nell’ambito degli stereotipi di genere. Proprio per contrastare questi stereotipi, legati ai condizionamenti sociali cui vengono sottoposte le bambine e i bambini, il 30 gennaio 2013 è stato stipulato un Protocollo d’Intesa Pari Opportunità – ministero dell’Istruzione Università e Ricerca (Miur) pluriennale per l’attivazione di opportuni e significativi percorsi di sensibilizzazione, di informazione, di prevenzione e di contrasto a tutte le forme di violenza e di razzismo, prevedendo sia percorsi formativi stabili sia una «Settimana nazionale contro la violenza e la discriminazione» nelle scuole di ogni ordine e grado.

Diffondere la massima conoscenza possibile dei diritti della persona, prevenire e contrastare fenomeni di violenza e discriminazione sulla base del genere, della religione, della razza o dell’origine etnica, della disabilità, dell’età, dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere richiedono azioni mirate, come ricorda la circolare ministeriale che lo scorso anno ha fissato le date della Settimana nazionale (24-30 novembre 2014).

Nel solco tracciato da questo Protocollo d’Intesa si inserisce anche la pubblicazione, nel corso dell’anno scolastico 2013/2014, di appositi opuscoli divulgativi rivolti ai docenti, realizzati dall’Istituto «A. T. Beck», associazione professionale di psicologia e psicoterapia, su incarico dell’Ufficio nazionale antidiscriminazione razziale (Unar) per contrastare il bullismo omofobico nelle scuole, la cui distribuzione (on line, esclusivamente ai docenti tramite password) è stata prontamente interrotta dal Miur, a causa della campagna mediatica organizzata ad arte dalle gerarchie cattoliche.

Non dimentichiamo inoltre la mail inviata a 6000 insegnanti di religione cattolica della Diocesi di Milano nel novembre dello scorso anno per chiedere di segnalare le scuole dove si diffonde «l’ideologia gender», salvo poi ritirare il tutto scusandosi per l’inappropriata formulazione della comunicazione, viste le polemiche suscitate dall’evidente intenzione di schedare le scuole «gay friendly».

Evidentemente recepire anche nella scuola italiana quanto disposto nel 2010 dall’Ufficio regionale per l’Europa dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) e BZgA (Federal Centre for Health Education) nella pubblicazione Standard per l’educazione sessuale in Europa – Guida alla realizzazione continua a provocare notevoli fastidi a coloro che, affezionati alle crociate medievali, non tollerano chi sfugge al loro controllo, colpevole di voler vivere anche la propria sessualità in modo responsabile e consapevole, libero dai lacci degli stereotipi di genere che fanno tanto comodo ai fondamentalismi religiosi.

Non sarebbe altrimenti comprensibile la valanga di fango con cui si cerca di coprire la realtà dei fatti sopra riportati, reperibili su Internet, realtà in cui ogni giorno lavorano i docenti delle scuole pubbliche statali che in questo crescendo di polemiche e falsità non vengono assolutamente rispettati, poiché per instaurare un clima di diffidenza tra genitori e scuola, la prima figura su cui operare il discredito è il docente, trattato alla stregua di un incapace che lavora in un contesto dove la perversione è la norma. Significativo è il titolo di un’inchiesta del settimanale Tempi: «Come cambia la scuola italiana con il maestro unico del gender e la religione dell’Arcigay» (5 febbraio 2014).

Oggi il repertorio delle falsità si è notevolmente arricchito vista la realizzazione della manifestazione di sabato 20 giugno, il Family day promosso dal Comitato «Difendiamo i nostri figli» contro la «destrutturazione dell’identità sessuale dei bambini» e per la difesa «del diritto di educare i propri figli»: un milione di persone secondo gli organizzatori, 400.000 per il Viminale, rappresenterebbero i «genitori attenti», che potremmo definire le «sentinelle in piedi della scuola».

In attesa che il Miur si esprima in merito alle vere e proprie campagne diffamatorie messe in atto verso la scuola pubblica, invitiamo le sentinelle in piedi della scuola a stare serene: i genitori attenti e responsabili sono molti di più rispetto al milione sceso in piazza a Roma sabato scorso, sono tutti coloro che hanno un rapporto di fiducia con le maestre e con i maestri, con i dirigenti e con i collaboratori scolastici e gli addetti alle segreterie che, nonostante tutte le sedicenti riforme passate e presenti, riescono ancora a fare della scuola pubblica una scuola davvero buona, la scuola della Costituzione laica e pluralista, che non si presta a veicolare messaggi integralisti bensì educa alla libertà nella responsabilità, rispettando gli altri e non imponendo modelli di vita confessionale.

Foto via Pixabay