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Il pellegrinaggio per la giustizia e la pace arriva in Armenia

«Vi porgiamo il nostro benvenuto in questo luogo e in questo anno che è sacro per il nostro popolo». Così Karekin II, supremo patriarca e catholicos di tutti gli armeni, ha salutato i membri del Comitato esecutivo (Ce) del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) a Etchmiazdin (Armenia), dove dall’8 al 12 giugno hanno tenuto il loro incontro semestrale. Un luogo e un tempo che hanno permesso ai 20 componenti del Ce di ricordare il genocidio armeno, iniziato nel 1915 e costato la vita a 1.5 milioni di persone. «La negazione, l’impunità e l’oblio di tali tragedie incoraggiano la loro ripetizione», si legge in una dichiarazione del Ce letta lo scorso 10 maggio, durante una funzione tenutasi al Memoriale del genocidio armeno nella capitale Yerevan. «Il Cec – ha ricordato il segretario generale dell’organismo ecumenico mondiale, pastore Olav Fykse Tveit – è stata una delle prime istituzioni internazionali a definire la tragedia armena un genocidio, utilizzando ufficialmente questa dizione nell’assemblea di Vancouver del 1983». Nel fare memoria del passato, Karekin II – che è uno dei presidenti del Cec -, ha espresso il desiderio «di prendere per mano le vittime» dei conflitti del mondo di oggi, «particolarmente quelli in cui l’estremismo religioso conduce alla violenza».

I lavori – presieduti da Agnes Aboum, moderatora del Cec – si sono concentrati sulle relazioni dei diversi programmi del Cec, sulla condivisione di informazioni provenienti dalle diverse aree continentali, sulla revisione del bilancio finanziario 2015 e sul rapporto del segretario generale, riguardo al procedere del “Pellegrinaggio per la giustizia e la pace” lanciato dall’Assemblea di Busan 2013 e, con questa riunione del Ce, giunto ufficialmente anche in Armenia.

Particolare enfasi è stata data alle crisi mondiali che provocano milioni di profughi e al dramma di chi perde la vita nel tentativo di sfuggire a guerre, persecuzioni e fame. «Tutti i membri della comunità internazionale hanno il dovere morale e legale di salvare coloro le cui vite sono a rischio in mare o in transito, senza riguardo alla loro origine e al loro status», si legge in una dichiarazione pubblica del Ce. Il documento identifica l’origine di queste tragedie nelle tante crisi in atto nel mondo, citando alcuni eventi in particolare: le morti nel Mar Mediterraneo e nel Golfo del Bengala, le recenti uccisioni di lavoratori migranti etiopi in Libia, la violenza xenofobica scoppiata in Sudafrica. Tutti episodi che «illustrano la particolare vulnerabilità di coloro che lasciano i loro paesi d’origine alla ricerca di sicurezza e di una vita migliore per sé e le loro famiglie». A fronte di queste realtà, il Cec esorta la comunità internazionale a garantire procedure «generose, sicure e accessibili» per la migrazione legale delle persone; ricorda ai governi il dovere morale di salvare vite umane e ammonisce a non prendere alcuna iniziative che possa ulteriormente mettere a rischio la vita dei migranti. Soprattutto, secondo il Cec, è urgente che la comunità internazionale agisca per risolvere i conflitti, per porre fine a oppressioni e occupazioni, per sconfiggere la povertà – intervenga, cioè, sulle cause che determinano gli attuali flussi migratori.

Tra le altre decisioni del Ce, va ricordata la nomina del presbiteriano brasiliano Odair Pedroso Mateus, quale nuovo direttore della Commissione Fede e costituzione. Mateus, attualmente professore di teologia ecumenica presso l’Istituto di Bossey (Svizzera), succede all’anglicano John Gibaud.

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