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In marcia contro chi uccide in nome della fede

Charlie Hebdo a Parigi, la scuola di Garissa in Kenia, i nove morti a Mogadiscio uccisi da Al Shabab ad aprile nell’assalto alla sede dell’Onu. Il 2015 non è iniziato bene per la convivenza pacifica tra religioni e culture diverse. Il kamikaze di questa mattina a Luxor in Egitto ne è un altro tragico esempio. Quanto ancora si dovrà aspettare per non assistere più a omicidi a carattere religioso?

Questa sera a Torino si svolge una marcia, unica nel suo genere in Italia (Noi siamo con voi. Manifestazione di solidarietà alle vittime della persecuzione religiosa), per dire «basta. Mai più morti in nome di una religione o di un ideologia».

Si parte alle 20 da piazza Palazzo di Città a Torino e il luogo non è stato scelto a caso. La marcia ha prima di tutto un carattere laico perché è stata voluta dal Consiglio regionale piemontese, ma vi hanno aderito oltre 45 realtà tra associazioni, movimenti e confessioni religiose. Ci sono ebrei, musulmani, ortodossi, cattolici e c’è anche la Chiesa valdese. Noi abbiamo raggiunto il pastore di Torino Paolo Ribet.

Pastore Ribet, come si è arrivati a questa marcia?

«L’idea iniziale è di Giampiero Leo, ex assessore regionale alla Cultura. Da molti anni è impegnato nella difesa dei buddisti tibetani e per l’indipendenza e libertà del Tibet. Facendo questo lavoro è entrato rapidamente in contatto con molti esponenti religiosi. Recentemente il Consiglio regionale del Piemonte ha istituito il Comitato per i diritti umani con a capo il presidente del Consiglio Regionale Mauro Laus. Questa commissione ha al suo interno una decina di persone tra cui il noto scrittore arabo e musulmano Younis Tawfilk. Nell’ambito del lavoro convergente fra la difesa del Tibet e la nascita del Comitato, si è arrivati alla proposta di una presa di posizione, la più ampia possibile, in solidarietà per le vittime di persecuzioni religiose».

Perché è unica in Italia?

«Perché non era mai successo che a una marcia contro le vittime del fanatismo religioso partecipassero rappresentanti di tutte le confessioni religiose. Ci sono gli ebrei, i musulmani, i laici, gli atei, gli ortodossi e ci siamo anche noi come Chiesa valdese. Ma la cosa più importante è che non è una Chiesa che si è messa alla testa delle altre. E’ una manifestazione laica ed è la ragione che ci ha spinto maggiormente ad essere presenti. Ci sono stati diversi incontri per preparare la marcia, sia nella chiesa cattolica della Consolata, sia nella moschea di Dar al Hikma, il centro culturale italo-arabo in via Fiocchetto 15 a Torino. Quindi questa iniziativa ha anche un carattere ecumenico».

Come si svolge?

«Partiremo tutti dal Comune e attraversando Porta Palazzo arriveremo all’Arsenale della pace, al Sermig, per leggere insieme il documento comune che abbiamo creato e ognuno di noi esprimerà una riflessione. Io partirò da una frase dalla Lettera agli Efesini al capitolo 2 dove Paolo dice “Cristo è la nostra pace perché ha demolito il muro che separava pagani ed ebrei e che li rendeva nemici”. Cristo ha demolito il muro, ma noi li stiamo ricostruendo questi muri, sia fisici che ideologici».

Scheda: Il testo comune che verrà letto

Non è lecito uccidere in nome di Dio né in nome di una religione o di un’ideologia
Le religioni siano luoghi di misericordia e di speranza, dove ognuno possa sentirsi accolto, amato e perdonato; perché l’amore riempie i vuoti e colma le voragini che il male apre nei cuori.
Noi siamo qui perché il futuro non sia modellato da una semina di morte, ma da una rispettosa convivenza e da una rinnovata fraternità.
Noi siamo qui per opporci all’ingiustizia, ai conflitti etnici e sociali, agli orrori della guerra, alla negazione dei diritti; per uscire dalla paura dell’altro, del diverso, di chi ha un’altra fede.
Noi siamo qui perché non ci riteniamo autosufficienti e padroni della nostra vita; ma ci sentiamo chiamati all’accoglienza e a farci artefici di giustizia e di pace.
Noi siamo qui perché il dialogo tra persone di differenti fedi è testimonianza di fede autentica.
Noi siamo qui perché sappiamo che la disperazione contribuisce a fomentare l’odio e la violenza.
Noi siamo qui per non nominare il nome di Dio invano, e non offendere alcuna fede facendo violenza a sé e ad altri. Per essere in fraternità con quanti, a causa della loro religione, vengono umiliati e uccisi.
Ecco perché siamo qui. Perché solo così si ricomincia a essere credenti. È attraverso il nostro personale impegno che la vita si rinnova, creando echi.
Perché solo così si paga, umanamente, il dolore e si attinge, al di là di esso, a una gioia rimasta.
Solo così chi crede comprende, ora più che mai, di esserci.

Foto “Torino panorama Superga” di Alessandro VecchiOpera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.