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Il bastone spezzato

Pellegrino di pace a Sarajevo, la “Gerusalemme d’Europa”, papa Francesco ha fatto ciò che più o meno ci si aspettava da lui: ha parlato di “cultura dell’incontro e del dialogo”, ha rilanciato il grido “Mai più la guerra”, ha criticato velatamente gli accordi di Dayton, che dopo la guerra del 1992-95 ha congelato la Bosnia in una divisione etnico-religiosa che, invece di risolvere, cristallizza e acuisce i nazionalismi e gli integralismi.

Tanti interventi corretti e toccanti, a tratti. Ma la cosa più bella e interessante è stata la Messa del 6 giugno allo stadio Kosevo. Qui papa Francesco ha portato in processione una metafora, un simbolo delle tante mancanze, e talora persino complicità, delle religioni in questa martoriata area. Sì, perché, poco prima dell’inizio della celebrazione, il pastorale (cioè il lungo bastone sormontato da un crocifisso) è caduto e si è spezzato. E il papa ha celebrato con il pastorale riparato con lo scotch da idraulici.

Un incidente che ha – come dire – una sua trasparenza spirituale. Nel delirio della guerra nella ex Jugoslavia, infatti, non poche sono state le responsabilità della Chiesa cattolica (filo-croata) così come della Chiesa ortodossa (filo-serba) nel giustificare e appoggiare implicitamenti lo scontro e la pulizia etnica. Quella involontaria (ma siamo sicuri che lo fosse totalmente?) ostensione del pastorale rappezzato ha ricordato in maniera plateale un tema molto caro a Bergoglio: che anche noi, anche “i nostri”, hanno non pochi peccati sulla coscienza. E che dunque l’unica via ecumenica verso Cristo è la conversione. La propria.

Foto “Sarajevo sunset (14083023776)” by Michał HuniewiczSarajevo sunset. Licensed under CC BY 2.0 via Wikimedia Commons.