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Siamo ancora riformati?

È da diverse settimane che stiamo ripensando alla notizia della visita di papa Francesco alla nostra chiesa valdese di Torino. Forse, a differenza di molti, non siamo riusciti ad accoglierla a cuor leggero. In questa vicenda quello che ci stupisce non è la visita in sé: è anzi bello quando il potere, seppure con un volto cordiale, si china e ricorda una minoranza altrimenti pressoché ignorata. Quello che c’inquieta è il modo in cui la nostra Chiesa – già diffusamente considerata setta – verrà percepita all’esterno a seguito della visita, nonché il modo in cui noi, a partire dalla gestione di questa vicenda, comprendiamo noi stessi come Chiesa. Ci ha stupito il ruolo decisionista della Tavola (il momento clou consisterà in un discorso finale tra il papa e il moderatore) e il peso preponderante dei pastori nella gestione della visita. Sappiamo già quale sarà il ritorno mediatico di un evento impostato in questa maniera: se andrà bene, la giornata risulterà come un “incontro tra due leader ecclesiastici che vogliono parlarsi”. E in effetti Paolo Griseri su La Repubblica del 25 maggio scorso scrive dell’ «iniziativa ecumenica più clamorosa – l’incontro tra il pontefice e i vertici della Chiesa valdese».

Ora, a prescindere dalla decisione in sé – che pure non abbiamo condiviso e che non ci sentiamo di condividere – vorremmo sottolineare quanto questa si stia dimostrando una occasione sprecata. L’immagine della Chiesa valdese non uscirà più forte o socialmente legittimata, cosa che in ogni caso non ci pare sia tra i compiti affidatici, ma di certo più clericale e leaderista di quanto la sua vocazione preveda. Purtroppo, temiamo che questa immagine corrisponda a una torsione in corso: al nostro interno, dove anziché come esecutivi, ci si autopercepisce come leader ecclesiali; ma pure all’esterno, dove non sarà possibile notare una poi così grande differenza tra noi e altri nel modo di essere chiesa e di vivere la vita cristiana.

Crediamo che questa visita pontificia alla chiesa di Torino, tra don Bosco e la Sindone, sia la cartina di tornasole della fragilità della nostra proposta teologica e culturale, e che ci costringa a domandarci se e in che misura siamo ancora riformati. Lo abbiamo detto e scritto in privato, sui social media, e ai nostri responsabili ecclesiastici: sentiamo come urgenza che il nostro protestantesimo tenti di vivere e annunciare con vocazione coerente un messaggio che non è suo, senza per questo inseguire una visibilità tutta mondana che nulla ha a che vedere con la nostra chiamata cristiana. Questo papa – con cui dobbiamo coltivare un rispettoso e civile dibattito – può darci l’occasione di parlare pubblicamente di teologia, di Bibbia, di fede. Questa visita può e deve essere una strada per discutere con i cattolici: di storia, di Scrittura, di dogmi e di missione. Ma anche per dire con chiarezza e fermezza che ci sono molte cose nella prassi e nella fede cattolico-romana che per noi contraddicono il messaggio evangelico.

Gli importanti eventi che vedono coinvolti i cattolico-romani e, in un certo senso, Torino tutta intera, avrebbero potuto essere l’occasione per ribadire che c’è un modo differente di essere cristiani. E questo potremmo ancora farlo, come sempre fu fatto nelle precedenti occasioni, organizzando degli incontri/eventi aperti a tutta la città in cui si possa discutere 1) della fede (perché noi non ci curiamo delle reliquie vere o false che siano? che cosa caratterizza la vita di fede di un cristiano evangelico?); 2) dell’evangelo e del lavoro; 3) dell’evangelo e dei migranti; 4) dell’evangelo e delle donne; 5) dell’evangelo e degli uomini… Insomma, del nostro modo d’intendere il mondo in base all’evangelo. Crediamo che questo sia un buon modo di accogliere tutti i cattolici che verranno a Torino e, soprattutto, un’occasione per rifare il punto insieme sul nostro essere chiesa evangelica. C’è ancora tempo.

Foto “EgliseVaudoiseTurin-2005” di MHM55Opera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.