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È mancato Giuseppe Barbanotti

“Simone, che cosa è la gloria di Dio?”. La domanda, fulminante, arrivò mentre lui ed io stavamo scaricando la spesa. Sessanta ragazzi, suppergiù, la media dei partecipanti a ciascuno dei sei campi estivi di Pravernara. Balbettai qualcosa, in cambio ricevetti un libro di Vittorio Subilia, La giustificazione per fede. Avevo manco diciott’anni.

A fare quella domanda, Giuseppe Barbanotti, fondatore dei campi di Pravernara e per cinquant’anni servitore e missionario a pieno tempo tra le Assemblee dei Fratelli. Giuseppe sì è spento a 89 anni, dopo un tempo di malattia, e di seguito alla scomparsa, solo pochi mesi fa, della compagna di vita e di servizio, la moglie Valentina. La ‘sepoltura’, come preferiva dire lui, perché mai avrebbe voluto troppa attenzione concentrata su di sé, si è svolta nel cimitero evangelico di Firenze il 3 giugno scorso.

Giuseppe Barbanotti è stato figura di riferimento nell’evangelismo italiano, sebbene non abbia mai svolto incarichi di guida di chiese. ‘Servitore a pieno tempo’, secondo la dicitura comune nelle Assemblee dei Fratelli, non era certamente riconducibile entro steccati denominazionali.  Profondamente dotato come predicatore, provvisto di solidi studi teologici, era chiamato al servizio, da cui scaturiva la sua capacità di costruire dialoghi con generazioni diverse. Luogo privilegiato erano i campi per ragazzi, cominciati negli anni sessanta, e poi proseguiti nella villa di Pravernara, nell’alessandrino, a partire dal 1969.  Uno spazio di confronto il cui spirito originario era intriso di impegno, tanto nello studio biblico quanto nella comprensione del mondo contemporaneo: anticonformista e libero, come il suo fondatore. Dedito alla cura di numerose chiese locali (aveva vissuto a lungo nella casa di Spinetta Marengo che fu di Teodorico Pietrocola Rossetti, esprimendo in qualche modo la vocazione dei primi ‘Fratelli’), Barbanotti ebbe un lungo e costante impegno in Burkina Faso e in Benin, dove spesso si recava, una volta per collaborare alla costruzione di un dispensario medico, o per tirar su una scuola, o per lavorare all’integrazione dei bambini portatori di handicap.  Aveva pure assunto molte responsabilità anche tra le chiese in Italia, tra le opere diaconali evangeliche a Firenze, e si era ritrovato protagonista dei dialoghi Fratelli-Metodisti-Valdesi negli anni ottanta.

Giuseppe Barbanotti è stato anzitutto un credente che amava il Signore e sapeva indicarlo nel servizio al prossimo, nella ribellione morale contro la povertà e la discriminazione, nella cura della predicazione. Per molti, negli ultimi anni, era un nonno, con la sua capacità di raccontare le favole la sera ai campi dei più piccini. Era un uomo umile, di quell’umiltà formatasi nello studio e nel servizio. Ha sempre insegnato che il cristianesimo è libertà, e che la libertà del cristiano – un dono – dovrebbe essere il fondamento del nostro essere chiesa. Sommessamente, indicava un’altra via alle sue chiese: la libertà dell’Evangelo, non il moralismo. Aveva tuttavia in sé quel modo di essere profondamente ‘dei Fratelli’ che ne faceva un uomo di apertura e di speranza. “Come puoi dire di amare Dio che non vedi se non ami tuo fratello che vedi”: un versetto da lui vissuto con libertà e gioia. La sua scomparsa ci rattrista, perché un altro dei nostri padri nella fede se n’è andato. ‘Anche noi, dunque, poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deponiamo ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta’ (Eb. 12: 1).