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Madre nostra che sei nei cieli

Un’organizzazione religiosa della Chiesa d’Inghilterra “Women and the Church”, composta da donne sacerdote, donne vescovo e fedeli, ha chiesto di modificare le preghiere in modo da comprendere anche il genere femminile. Alcuni esempi parlano del Padre Nostro, trasformato in “Madre Nostra”, ma al di là degli slogan, la riflessione proposta si inserisce in un dibattito molto vivo e importante che mira a rendere sempre più vera l’accoglienza che il Vangelo propone. Anche in Italia la discussione ha una storia significativa, soprattutto nel protestantesimo storico. Ne abbiamo parlato con Daniela di Carlo, pastora valdese e per anni nel gruppo di lavoro sul genere della Facoltà Valdese di Teologia.

Come ha letto questa notizia?

«Sono rimasta molto colpita e stuzzicata da questa provocazione, ma bisogna fare una distinzione: da un lato ci sono preghiere, per esempio il Padre Nostro, che credo non possano essere riscritte, perché sono un patrimonio storico, una testimonianza di fede che alcuni prima di noi hanno trascritto e ci hanno trasmesso come un reperto che ci lega alle prime cristiane e ai primi cristiani. Le preghiere che sono in uso nelle liturgie domenicali, invece, sono fatte da un gruppo che le crea, le studia e le scrive: in quelle deve esserci un’attenzione al fatto che effettivamente Dio molto spesso è stato incarnato in un genere maschile, ma non è né uomo né donna. Se nelle liturgie di ogni giorno bisogna inserire delle immagini perché ci sia comprensibile il rapporto che dobbiamo avere con Dio, allora è giusto utilizzare anche delle immagini femminili. Alle donne è sempre mancato uno specchio trascendente nel quale identificarsi, come diceva negli anni ’90 la filosofa francese Luce Irigaray, e mi sembra opportuno che ci sia un’attenzione a questo, nella scrittura di queste preghiere».

Qual è l’esperienza italiana?

«In Italia, le donne impegnate nelle chiese protestanti hanno creato due associazioni diverse: una legata alla Federazione giovanile evangelica, che si chiamava Cassiopea, ed una fondata dalle teologhe valdesi metodiste e battiste italiane, Sofia. In ambedue questi contesti si è molto parlato del linguaggio, si facevano degli appelli alle chiese affinché usassero un linguaggio più inclusivo all’interno delle liturgie e del culto. Questo perché la buona notizia che viene da Gesù è rivolta a uomini e donne, mentre in passato, sia nelle predicazioni che nelle liturgie, gli interlocutori a cui ci si riferiva erano identificati solo con il genere maschile. All’interno delle nostre chiese sono stati fatti passi da gigante: ora, a differenza del passato, nei documenti, negli atti sinodali, nelle commissioni formate dalla Tavola e così via, c’è una grande attenzione ad usare un linguaggio inclusivo. Siamo ad un buon livello ma dobbiamo tenere alta la guardia per non tornare indietro».

La Bibbia non ha genere?

«Sicuramente bisogna considerare che la Bibbia è stata scritta in un’epoca in cui la visione patriarcale della società rendeva gli uomini un soggetto “universale neutro” che includeva anche le donne. Nella storia ci sono stati degli esperimenti – anche radicali – per agevolare le donne nel sentirsi accolte all’interno delle tradizioni cristiane. Per fare un esempio, nel mondo anglosassone, si è riscritta tutta la Bibbia usando il linguaggio inclusivo, sia per quanto riguarda Dio, nell’Antico Testamento, rafforzando le metafore femminili, sia per quanto riguarda il Nuovo Testamento, dal punto di vista degli attori della prima cristianità, includendo anche le donne che spesso sono sottaciute. Di fatto, per il mio punto di vista, non vedrei positivamente la modifica del linguaggio che usa la Bibbia, perché è relativo al suo tempo: ovviamente attraverso la contestualizzazione che ne facciamo, parliamo a uomini e donne. Quello che possiamo fare è trovare nuove parole, attraverso liturgie e predicazione collegarci a quella testimonianza e renderla ancora attuale oggi».

Cambiare le preghiere serve davvero a rendere la chiesa più accogliente?

«Credo che la notizia ci serva come una grande provocazione, e come tale è utile, perché ci fa ragionare e rende rumoroso qualcosa che è silente. All’interno delle chiese protestanti questa notizia può servire a rendere sempre più attente le persone che frequentano le attività ecclesiastiche a concepire un Dio che veramente ha inventato l’umanità a propria immagine e somiglianza, quindi anche includendo le donne. Nel mondo cattolico potrebbe essere una provocazione ancora più grande, perché potrebbe permettere finalmente anche alle donne di poter accedere al sacerdozio, anche se la vedo ancora molto difficile».

Foto: Mani, di Godsgirl_madi, Licenza: CC0 Public Domain, by Pixabay