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Stati Uniti, una nazione sempre più postsecolare?

La nazione dei cosiddetti Wasp (White Anglo-Saxon Protestant) negli ultimi sette anni si è fatta meno cristiana, più plurale, ma soprattutto più secolarizzata: è quanto emerge dall’ultimo studio dell’autorevole Pew Research Center sul panorama religioso degli Stati Uniti. Reso pubblico ieri, il nuovo studio comparativo che si basa su un campionario di 35mila persone, mette in evidenza il declino del cristianesimo negli Stati Uniti d’America, non solo tra le giovani generazioni o in alcune regioni più urbanizzate: il trend si manifesta a prescindere dall’età, dall’appartenenza etnica, di genere, di ceto sociale o di origine geografica. La percentuale di chi si dichiara cristiano dal 2007 al 2014 è sceso di 8 punti e si ferma, per ora, al 71%.

Tra le confessioni cristiane che perdono più adepti figurano la chiesa cattolica, 3 punti percentuali in meno rispetto al 2007, ma che grazie ai latinos ha ancora il 21%, e le chiese protestanti storiche o mainline churches, che perdono anch’esse tre punti, scendendo al 15%. Tengono meglio le denominazioni evangelicali, che con un solo punto percentuale in meno rispetto a sette anni fa si attestano come primo gruppo confessionale degli Stati Uniti con il 25,4%, diventando a tutti gli effetti maggioritarie nell’ambito delle chiese protestanti. Tra le sole chiese protestanti storiche invece, quella più consistente rimane la Chiesa metodista unita. Interessanti anche i dati riferiti alla composizione etnica delle singole comunità, dove tra le più segregate, o meno integrate, figurano le denominazioni evangeliche, sia mainline che evangelicali: le chiese rimangono tipicamente “bianche” o “nere”, quindi etnicamente connotate, anche se meno evidenti di 7 anni fa (il trend è verso una lieve diversificazione nella composizione etnica e razziale delle comunità).

D’altra parte, come in tutte le società occidentali, anche negli Usa si sta verificando una “pluralizzazione” religiosa, con l’aumento dei credo non-cristiani: dal 4,7 % al 5.9% in sette anni. Particolarmente importante è la crescita di musulmani e induisti, ma anche buddisti, mentre sono stabili le comunità ebraiche. Degno di nota il fatto che induisti ed ebrei rimangono tra coloro che vantano i livelli di istruzione più alti.

Per quanto riguarda invece il gruppo dei non-affiliati, i cosiddetti nones – coloro cioè che si dichiarano atei, agnostici o che “non credono in nulla in particolare” – la percentuale salta dal 16% al 23%, superando i cattolici e piazzandosi di fatto in seconda posizione, dietro gli evangelicali. Un trend che non riguarda solo le giovani generazioni: a disaffezionarsi dalla religione sono anche gli ultracinquantenni. L’età media del none cala tuttavia dai 38 ai 36 anni. Qui troviamo più bianchi (o ex-Wasp, se vogliamo) con il 24%, mentre tra la popolazione ispanica i non-affiliati sono il 20%, e in quella afroamericana il 18%.

Da una prima lettura dei dati, e guardando ai risultati più eclatanti della ricerca, anche gli Stati Uniti non sembrerebbero più sfuggire a quello che potremmo chiamare un processo di “post-secolarizzazione”.

Foto via Pixabay | Licenza: CC0 Public Domain