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Nascondere le minoranze

In Cina orientale, nello Zhejiang, le autorità locali hanno presentato una bozza di legge per vietare le croci esposte sugli edifici cristiani, poiché violerebbero le normative edilizie. Non è la prima volta che si cerca di nascondere i simboli religiosi percepiti come minaccia. Le minoranze cristiane in Oriente e Medio Oriente hanno sorti diverse, a seconda del luogo e del periodo storico. In un periodo in cui quella vasta area di mondo vive grandi sconvolgimenti ne abbiamo parlato con Simone Zoppellaro, corrispondente dall’Armenia per l’Osservatorio Balcani Caucaso, redattore di East Journal e per anni docente di italiano in Iran.

Partiamo dalle notizie dalla Cina, cosa ne pensa?

«La religione cristiana in Cina viene vista come qualcosa che va nascosto quando non eliminato perché automaticamente in concorrenza con l’ideologia socialista. Questa notizia mi fa venire in mente quanto accaduto in Unione Sovietica, in un paese cristiano come l’Armenia, moltissime chiese sono state chiuse o abbattute. Mi fa anche venire in mente quello che è successo in Svizzera nel 2009, con la controversia che c’è stata sui minareti. Una situazione con ricorrenze storiche diffuse».

Se ci spostiamo in Medio Oriente, qual è la situazione?

«In Medio Oriente ci sono tantissimi casi simili alla mimetizzazione che vediamo in Cina. Le stesse architetture cristiane dell’Iran, strutture storiche, sono molto poco visibili, senza croci all’esterno, e da fuori ricordano delle moschee, per non disturbare la vista dei non cristiani. Ma vi erano anche esempi positivi, come in Siria: in un viaggio pochi mesi prima dell’inizio del conflitto ho visto a Damasco o ad Aleppo una grande integrazione della componente cristiana nel tessuto musulmano maggioritario della società, c’era un esposizione continua di simboli cristiani, come croci, alberi di natale, musica che invadeva le vie. Oggi, dopo la guerra, tutto questo è sparito e la comunità cristiana è ridotta a un numero esiguo di persone, con una possibilità di movimento molto ridotta rispetto a quegli anni».

Quando parliamo di minoranze cristiane in Medio Oriente, di cosa parliamo?

«Parliamo di una cosa importante per chi ha a cuore il cristianesimo, che non è nato certo a Roma, ma in questi luoghi. Dalla Palestina alla Siria abbiamo una ricchezza inestimabile di liturgie, di culti, di luoghi e architetture. Un cristianesimo vario, con chiese molto antiche, chiese protestanti, chiese orientali come la chiesa armena, quella etiope, o quella coopta che sono antichissime e che portano avanti un’eredità storica molto importante, che andrebbe preservata. In quasi tutti i paesi c’è una presenza cristiana molto importante e variegata: in Iran, per esempio, c’è una presenza armena, una assira e così via, anche se siamo abituati a considerarla una repubblica islamica monolitica. In Libano la comunità cristiana, nonostante la guerra civile, è ben integrata e ha un peso politico: ci sono scuole cristiane e la possibilità di esercitare il culto liberamente. In Iran, con tutti i limiti del caso, ad esempio i Bahá’í non sono tutelati, molte minoranze sono riconosciute anche dal punto di vista legislativo, con una buona tutela: gli armeni, gli assiri, gli ebrei e gli zoroastriani hanno un rappresentante nel parlamento della Repubblica Islamica».

Quali sono le reali possibilità della comunità internazionale nella protezione delle minoranze?

«Nel caso siriano non c’è molta possibilità di intervenire, la situazione è completamente fuori controllo: la comunità internazionale fa continuamente appelli per tutelare le minoranze, ma restano sulla carta. Al momento non c’è un modo per poter esercitare una pressione specifica. Ci sono varie iniziative internazionali, ma non viene fatto molto. Anche l’opinione pubblica non è molto sensibilizzata per responsabilità dei media, sebbene sia un argomento che potrebbe interessare molti. Queste minoranze, infatti, portano avanti una grande tradizione, millenaria, che andrebbe preservata non solo per chi è religioso, ma per chiunque abbia a cuore la storia. A Maalula e a Saidnaya la popolazione parla ancora l’aramaico, la lingua parlata da Gesù e dalla sua comunità. Tutto questo oggi è messo a rischio.

Nei paesi di cui ci ha parlato, le minoranze sono tollerate o sono integrate?

«A livello dei cittadini in Siria, in Libano o in Iran, personalmente ho visto una grande tolleranza per quello che riguarda le minoranze religiose. Nei cinque anni che ho vissuto in Medio Oriente non ho mai percepito segni di intolleranza da parte della maggioranza musulmana. Quello che spesso accade è che la volontà politica sfrutti le minoranze per altre finalità, e dall’alto faccia pressione sulle minoranze. Quello della comunità ebraica in Iran è un esempio positivo: si trova in una grande difficoltà dal punto di vista politico perché è minacciata dal conflitto tra Iran e Israele, ma questa minoranza c’è ancora oggi, a più di 35 anni dalla Rivoluzione Islamica e diversi studi hanno dimostrato che l’antisemitismo in Iran è minore rispetto agli altri paesi del Medio Oriente, e questo è un simbolo di speranza».

Copertina: “Armenian Vank Church, Isfahan” di ajvhan – originally posted to Flickr as Armenian Vank Church. Con licenza CC BY 2.0 tramite Wikimedia Commons.