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Accadde oggi, 12 maggio

Sono le sette della sera quel 12 maggio di 38 anni fa. E’ il 1977. L’Italia brucia nelle piazze e nelle strade ricolme di giovani e di polizia. L’onda lunga dei movimenti studenteschi si è diramata in vari canali, con differenze che non sono sfumature. Dalla lotta armata ai movimenti pacifisti il panorama è variegato, e instabile. La violenza politica nel Paese è quotidiana. Sinistra extraparlamentare e fascisti si affrontano per le strade, e in quel 1977 le pietre vengono spesso sostituite dalle pistole.

Giorgiana Masi è lontana da queste dinamiche. E’ si un’attivista, ma certo non violenta. Ha 18 anni e frequenta l’ultimo anno del liceo Scientifico. Quel 12 maggio è in piazza per celebrare il terzo anniversario dal referendum sul divorzio. Ma in piazza non ci dovrebbe essere.

Non ci dovrebbe essere nessuno in strada in realtà, perché da oltre 20 giorni il ministro dell’Interno Francesco Cossiga ha imposto il divieto di ogni manifestazione pubblica a Roma, dopo la morte dell’agente di polizia Settimio Passamonti a seguito di scontri con membri di Autonomia Operaia.

Ma i Radicali sfidano il divieto del ministro di polizia, che si crede forse un novello Bava Beccaris e per questo dirige polizia e esercito come in una piazza d’armi. La vittoria in Italia, patria del cattolicesimo romano, della battaglia sul divorzio è un evento troppo fresco e troppo importante per non essere celebrato in piazza.

E Roma si riempie di giovani, di donne, di lavoratori. E di forze di polizia, in numero elevatissimo, con moltissimi agenti in borghese, infiltrati, provocatori. E’ il sistema Cossiga, dall’improvvido sardo rivendicato in molte interviste senili. L’aria si riempie del fumo dei fuochi e dei lacrimogeni.

I militari caricano a più riprese, la folla cerca riparo e si sentono molti colpi di arma da fuoco. Giorgiana corre spaventata verso Trastevere su ponte Garibaldi: «Oddio che male» riesce a pronunciare prima di accasciarsi. Chi è intorno a lei non capisce, non vede sangue. La portano in ospedale, dove morirà subito. E’ stata centrata da un colpo di pistola alla schiena.

Il giorno dopo Cossiga elogia il prudente atteggiamento delle forze dell’ordine che hanno evitato una strage, e nega sia la presenza di infiltrati che di armi. Verrà clamorosamente smentito da puntuali ricostruzioni di testimoni, giornalisti e componenti del partito Radicale. Ma nonostante la mole di materiali repertati la pistola non verrà mai trovata né tanto meno colui che ha premuto il grilletto, in un ennesimo muro di omertà italiano, caratteristica principe di quegli anni di piombo.

Vergognose esternazioni dell’allora ministro dell’Interno, che di lì a 10 mesi si sarebbe trovato a “non-gestire” il caso Moro, guadagnandone tanti capelli bianchi ma un futuro al Quirinale assicurato quale premio per i propri complici silenzi, hanno insinuato a distanza di 30 anni che Giorgiana possa essere caduta sotto il fuoco amico, di chi voleva alzare lo scontro ad un punto di non ritorno.

Ma di punti di non ritorno ce ne erano già stati troppi. “Giorgiana puttana” scritto sui muri vicini ad una sede del Msi testimoniano meglio di tante parole il clima di odio di quella stagione, che i gestori dell’ordine pubblico hanno contribuito a rendere incandescente con deliberate campagne di violenze gratuite e provocatorie.

A Giorgiana tutto questo probabilmente non interessava, lei che suo malgrado è stata assurta a simbolo della violenza di Stato contro chi si riversava nelle strade carico di ideali e speranze nel domani.  

Foto “Giorgiana Masi“. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.