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Washington. Il segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese ha predicato alla cerimonia di commemorazione del genocidio armeno

Il past. Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), ha predicato il 7 maggio alla celebrazione ecumenica di commemorazione del centenario del genocidio armeno, presso la Cattedrale nazionale a Washington D.C.

L’evento, dal titolo «I santi martiri del genocidio armeno: una preghiera per la giustizia e la pace», ha raccolto migliaia di ospiti e leader interreligiosi per ricordare coloro che hanno perso la vita nel genocidio e per dimostrare gratitudine ai discendenti dei sopravvissuti e di chi li aiutò.

Presieduto da Karekin II, Patriarca supremo e catholicos di tutti gli armeni, e da Aram I, catholicos della chiesa armena apostolica di Cilicia, ha partecipato all’evento anche il vicepresidente americano Joe Biden e il presidente dell’Armenia, Serge Sarkisian.

Il 2015 segna il 100° anniversario dell’inizio del genocidio armeno, in cui si stima che 1,5 milioni di armeni morirono per mano dei turchi ottomani dal 1915 al 1923. Con un messaggio di consapevolezza, gratitudine e unità, la celebrazione ecumenica è stata parte di un evento di tre giorni durante i quali ci sono state mostre, concerti e una cerimonia di premiazione voluta dalla Commemorazione nazionale del centenario del genocidio armeno, un progetto delle Chiese apostoliche armene d’America.

L’evento è stato patrocinato dal Consiglio nazionale delle chiese di Cristo negli Stati Uniti (Nccusa) e dalla Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti.

Alla luce del centenario, Tveit ha invitato i suoi ascoltatori e i governi di tutto il mondo ad andare oltre il dibattito su come chiamare la violenza subita dagli armeni nel 1915. Tveit ha piuttosto esortato i presenti a vedere le vittime del genocidio nel loro significato più ampio per tutta l’umanità. «Noi li ricordiamo non solo come testimoni della morte crudele, ma anche come testimoni della vita. Hanno dato testimonianza della dignità e del senso della vita prima della loro morte. Oggi le loro testimonianze ci chiamano a diventare testimoni di vita in mezzo a peccato e alla morte del nostro tempo».

Richiamando l’attenzione sulla violenza diffusa in Siria e in Medio Oriente, in Sud Sudan, e altrove, Tveit ha osservato che «viviamo in un mondo che si trova ad affrontare: nuovi livelli di brutalità, crimini contro l’umanità, sistemi di ingiustizia, di povertà, mancanza di capacità e volontà di superare i conflitti attraverso processi politici e diplomatici».

Eppure, alludendo a recenti episodi di violenza negli Stati Uniti, Tveit ha detto che tutte le nazioni – anche quella che è diventata “una casa per molti di coloro che aveva bisogno di un riparo da tutto il mondo” – sono chiamate a testimoniare la vita e la speranza, «le stesse speranze per la giustizia e la pace che sentiamo da questo paese, da città come Ferguson e Baltimora. Tutte le vite hanno valore!».

Tveit ha infine concluso, dicendo: «È giunto il momento per tutti noi di essere molto di più che spettatori che osservano il peccato e la crudeltà di questo mondo; insieme a questi martiri e santi siamo ambasciatori di giustizia e di pace. Nel momento in cui anche molti paesi del mondo commemorano i 70 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, uniamoci a tutti gli uomini di buona volontà, di tutte le razze, credenze o identità, per celebrare il profondo significato e la ricchezza della pace».

Fonte: Cec

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