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Valdo Spini: “Le riviste di cultura nell’era digitale”

Valdo Spini, valdese, già parlamentare e ministro, attualmente presidente dell’Associazione delle istituzioni culturali italiane (Aici) e direttore dei Quaderni del Circolo Rosselli è stato rieletto, la scorsa settimana, presidente del Coordinamento delle riviste italiane di cultura (Cric). Un attestato di fiducia e di apprezzamento per il lavoro svolto in questi anni. Gli abbiamo rivolto alcune domande per parlare di editoria culturale, in vista dell’apertura del Salone Internazionale del libro di Torino dove il Cric sarà presente con le sue riviste.

Presidente Spini, quali sono le attività del Coordinamento delle riviste italiane di cultura?

«Il Cric è una libera associazione di riviste che si propongono di fare cultura, cioè elaborazione critica e sistematica di ricerca, di analisi e di proposta sia sui grandi temi di valore e di principio sia sui grandi problemi della nostra vita nel mondo odierno. Vista la sua consistenza, il Cric sopperisce anche ad un ruolo di rappresentanza delle riviste stesse, ruolo peraltro messo in difficoltà dalla mancanza di un interlocutore istituzionale perché Il Centro per il Libro e la Lettura, a differenza di quello francese, non si occupa delle riviste, delimitando il suo campo di azione ai libri. In secondo luogo il Cric intende attivare e stimolare una conoscenza reciproca e di dibattito tra le sue riviste associate, che non devono agire da monadi, ma essere capaci di interscambio intellettuale. Di qui il ruolo importante del nostro sito. In terzo luogo il Cric cerca di mettere in comune e socializzare servizi che avrebbero altrimenti costi insostenibili per le riviste autonome o di piccole case editrici. Di qui gli stand organizzati dal Cric in luoghi come Il Salon de la Revue di Parigi, “Più Libri, più liberi” a Roma, lo stesso Salone del Libro di Torino, gli accordi con piattaforme digitali ed altro. La nostra richiesta allora è precisa: può Il centro per il Libro e la Lettura, può una Regione, può comunque un’agenzia pubblica, appoggiarci per far organizzare anche in Italia un Salone delle Riviste sull’esempio di quello che da quarant’anni si svolge ad Ottobre con successo, a Parigi, nel Marais?»

Ovviamente sarebbe una gran bella iniziativa poter avere anche in Italia un salone interamente dedicato alle riviste culturali. Tuttavia, dalla sua premessa, sembrerebbe che le riviste italiane stiano vivendo un periodo di sofferenza. Quale ruolo hanno, nell’attuale era digitale, le riviste culturali italiane: sono ancora in grado di influenzare e/o indirizzare il dibattito politico, culturale e sociale, così come avveniva nel passato?

«Il quadro in cui si muovono le riviste cartacee di cultura è radicalmente cambiato. Intanto però cominciamo a dire che ci può essere integrazione tra riviste cartacee e piattaforme digitali. Queste possono consentire l’acquisto di un singolo articolo di un particolare numero di una rivista, naturalmente pagandolo, da qualsiasi parte del mondo, e senza il trasferimento materiale del fascicolo o di una fotocopia. Il vero problema è che le riviste cartacee non vengono più esposte dalle librerie per la vendita – in quanto non considerate convenienti –, senza una vetrina, non sono quindi conosciute e in particolare dal pubblico più giovane. Se non possono essere viste, considerate, soppesate, non è nemmeno possibile pensare o decidere di poterle acquistarle. Tanti librai od edicolanti mi dicono che talvolta ordinano delle riviste ma non riescono ad averle. Ecco perché ci può essere un ruolo del pubblico nel sostenere iniziative di mostre, fiere, saloni, quant’altro che permettano al pubblico di entrare in contatto con le riviste».

La carta stampata vive oggi una crisi epocale: calo di lettori e di abbonati, mancanza di contributi governativi, aumento delle tariffe di spedizione postali, mancanza di inserzionisti pubblicitari. Molte testate storiche hanno chiuso le proprie pubblicazioni e redazioni. Cosa sta accadendo? La colpa di tutto ciò può essere attribuita solo all’avvento delle nuove tecnologie e alla digitalizzazione dell’informazione e delle pubblicazioni editoriali?

«Ma certamente. Bisogna considerare che la rivista è un prodotto temporalmente intermedio tra il quotidiano (a sua volta insidiato dallo scorrere delle notizie sui siti) e il libro ,i cui tempi di pubblicazione, (si vedano gli instant book), si sono peraltro radicalmente accorciati. La rivista è comunque un prodotto collettivo, in genere frutto di un volontariato culturale, molto importante. Per sopravvivere oggi una rivista ha bisogno di un ambiente (circolo culturale, istituto universitario, istituzioni culturali in senso lato, da quelle religiose a quello politiche) che la sostenga e la alimenti di contenuti. Grande valore acquistano in questo senso i numeri monotematici. Quella che mi sembra messa in crisi è la rivista periodica generalista, che sta dietro alla mera contingenza. Questa è insidiata dai nuovi, più veloci mezzi di comunicazione e di stampa dei siti web e degli instant book. (Un discorso a parte naturalmente, andrebbe fatto per i rotocalchi, che sono cosa diversa)».

Quali sono i propositi del Coordinamento delle riviste italiane di cultura: lei è anche presidente dell’Associazione delle Istituzioni culturali italiane (Aici) e in passato qualche politico ha osato dire che “con la cultura non si mangia”.

«Con i nuovi organi dirigenti del Cric, con il nuovo segretario generale e con l’ingresso nel direttivo di uno storico delle istituzioni come Guido Melis, ci proponiamo un rilancio del ruolo delle riviste di cultura, basato sulle sinergie reciproche. Il Cric parteciperà come tale alla seconda edizione di “Italia e Cultura”, la seconda assemblea nazionale di questo genere, organizzata dall’Aici (Associazione Italiana delle Istituzioni Culturali) che pure presiedo. Intendiamoci bene, però i presupposti di tutto ciò sono due: che le riviste devono produrre cultura, non rimasticare vecchie formule; e che le riviste devono corrispondere alle nuove esigenze redazionali. Come? Con sunti in inglese, parole chiave per farsi individuare sui web e così via. Le riviste italiane di cultura godono tuttora di un buon patrimonio di abbonamenti da università europee ed internazionali, penso in particolare a quelle Usa. E’ la migliore smentita all’assurda frase “con la cultura non si mangia”. Che la cultura sia un importantissimo vettore dello sviluppo, dovrebbe ormai essere acquisizione e patrimonio comune. Ma non sempre lo è».

Foto Riforma