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La #buonascuola deve fare i conti con la realtà

Il cinque maggio gli studenti, i docenti, i sindacati e i lavoratori della scuola sono scesi in piazza per protestare contro la riforma “Buona scuola”, il DDL n° 2994, che dovrebbe terminare il suo iter parlamentare il 19 maggio. Vengono contestati soprattutto il nuovo ruolo dei presidi, che avranno maggiore responsabilità nell’assunzione dei professori, l’impoverimento del Consigli docenti, le agevolazioni per gli iscritti alle scuole paritarie e lo smantellamento del contratto integrativo sulla mobilità degli insegnanti che renderà più precario il lavoro. Abbiamo commentato le notizie con Luciano Zappella, professore e vicepresidente Associazione 31 Ottobre.

Le prime pagine parlano delle manifestazioni contro la riforma, che ne pensa?

«Mi ha stupito che i tre sindacati della scuola abbiano proclamato uno sciopero unitario, è un fatto inedito negli ultimi anni. Ho aderito personalmente allo sciopero, ma l’impressione è che ancora una volta non si voglia cambiare la scuola, che ci siano delle resistenze da parte dei sindacati. Insomma sembra che sia una chiusura di fronte ad un processo avviato, con modalità discutibili, ma necessario».

Viene sottolineata il maggior potere dei presidi: quanto inciderà sull’offerta didattica?

«Questo è un punto molto delicato. La mia impressione generale è che questo disegno di legge sulla carta contenga tanti elementi positivi e soprattutto inevitabili, ma il problema è fare i conti con la realtà. Del “preside-manager” ne sentiamo parlare da molti anni e in linea teorica è anche giusto per il dirigente scolastico avere la possibilità di migliorare la propria scuola: il problema è la formazione dei presidi. Se in una scuola c’è un preside valido, si otterranno determinati risultati, se invece c’è un preside che vuole far prevalere il proprio ruolo rispetto al merito, il rischio è che si crei una sorta di autoreferenzialità, che sicuramente è dannosa. Analogo discorso per la formazione dei docenti, ma in questo caso nella legge sono stanziati 500 euro [all’anno a testa come previsto nell’art 10, ndr] e una formazione obbligatoria. Sono convinto che una buona scuola sia fatta da buoni docenti, che devono essere formati e motivati. Veniamo da anni in cui sono state annunciate riforme che hanno avuto come conseguenza un effetto di saturazione e di demotivazione nella classe docente. Credo che questo sia il punto più problematico e delicato».

Buone proposte interpretate male?

«Difficile dirlo: lo scarto tra le buone intenzioni e la realtà vale per la riforma nel suo complesso. Sulla proposta del 5 per mille, per esempio, ho un atteggiamento laico, perché sappiamo qual è la situazione delle casse dello Stato. Renzi ha promesso investimenti mirabolanti, però se le casse sono queste c’è poco da annunciare. Non mi sembra un elemento scandaloso, anche perché non dimentichiamo che già oggi i genitori pagano un contributo di cento euro che viene fatto passare come volontario, ma di fatto è obbligatorio: se il cinque per mille servisse a questo, non avrei grosse obiezioni. Il rischio è che questo diventi un alibi per privatizzare la scuola e deresponsabilizzare lo stato».

Il 23 maggio ci sarà il vostro convegno nazionale: come tocca i vostri argomenti questa riforma?

«Il problema della laicità della scuola, che dovrebbe essere la cornice generale che ispira questa riforma, è effettivamente una dimensione problematica e assente. Continuiamo a vedere negato il diritto di laicità, che si concretizza in atti di culto nella scuola pubblica, momenti in cui intervengono esponenti religiosi quasi sempre cattolici, insomma un dialogo che spesso è a senso unico. Il nesso tra laicità e diritto di cittadinanza nella scuola dovrebbe essere la bussola del Governo: sarà il tema di cui parleremo nel nostro convegno».

Copertina:Ministro Giannini, via Flikr Palazzo Chigi