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L’internazionale artistica e la celebrazione del sacro

Per quasi nove secoli la cultura di Roma, sintesi del pensiero filosofico e dell’arte nell’antica Grecia, cui si sono aggiunte l’invenzione del diritto, necessario a governare un impero di dimensioni inusitate, e la scienza dell’organizzazione, indispensabile a costruire le città e un’immensa rete stradale, indispensabile, per unire le periferie alla capitale caput mundi, è rimasta in apparente letargo nelle abbazie, nei cenobi, nei castelli di qualche signorotto illuminato. Nel XIV secolo finalmente l’arte della costruzione si fa presente con obiettivi diversi dalla difesa, per diventare celebrazione di Dio e del nobile signore che ha voluto dedicargli una chiesa. Mirabilmente, questa attività diventa arte con uno stile talmente simile nei suoi stilemi da essere chiamato internazionale: il gotico, che trova una delle sue concretizzazioni più mirabolanti nel cantiere della cattedrale milanese, dove si parla il dialetto meneghino insieme con il francese, il fiammingo, il tedesco – a rappresentare un momento forse irripetibile di contaminazione da cui comincia a nascere una cultura europea.

Già un secolo prima, nella poesia, Cecco Angiolieri aveva espresso il suo sberleffo al mondo con il suo S’i’ fosse foco, arderei lo mondo, cui aveva fatto eco François Villon a metà del ’400: ««In acqua dove i ratti il muso abbiano e il grugno, /E rane, rospi e bestie velenose,/ Lucertole, serpenti, e nobili animali come questi,/ Siano fritte quelle lingue velenose!»; la dissacrazione, che tutto riporta sullo stesso piano; la morte derisa – che trova nella mostra un riflesso nel Cavaliere e la morte (Cat. I.4 «Ego fui talis…») – accanto alla celebrazione della divinità e a quella del potere della nobiltà regnante, due componenti di una cultura europea, che si va formando per il tramite di grandi artisti e pensatori, fra cui non si può dimenticare Erasmo da Rotterdam, che dopo Parigi e l’Inghilterra, si reca a Torino, per laurearsi in teologia e approdare a Basilea, dove uscirà il suo Elogio della pazzia, tanto influente sulla nascente cultura del continente.

La celebrazione del sacro trova nella mostra milanese una vastissima serie di rappresentazioni a partire dalla statua concreta, dura, quasi contadina della Madonna con bambino (Cat. I.1) del maestro della Loggia degli Osii, cui si giustappone, per la struggente rappresentazione dei sentimenti, il Compianto sul Cristo morto (Cat. I.5), affresco stupendo del 1320, con lo stile gotico che man mano va ingentilendo le forme, in un susseguirsi incessante di opere, che oscillano tra l’influenza del prodigioso cantiere internazionale, tutto teso a diventare il simbolo della prodigiosa Età dell’oro lombarda, proiettata in Europa e le opere più tipicamente locali, fino a Ludovico il Moro, con la corte sempre protagonista anche nell’indirizzare le varie forme d’arte; queste ultime sono esposte in mostra in una rara completezza, che consente di ammirare una statuaria di straordinaria bellezza, insieme con la meraviglia dei volumi decorati, fra cui lo stupendo Libro d’Ore, le pergamene del Maestro delle Ore Birago, le vetrate del duomo, le tempere su tavola di Benedetto Bembo, i preziosi reliquiari delle botteghe lombarde, le tempere struggenti di Michelino da Besozzo, con una segnalazione a parte per la Madonna del roseto (Cat. III.5), che da sola meriterebbe una lunga contemplazione con tutti i dettagli che formano il prodigioso giardino coperto da minuscoli angeli volanti con Santa Caterina che siede in disparte pensosa, e ancora la Presentazione di Gesù al Tempio di Vincenzo Foppa, Le Virtù di Giovanni Antonio Amadeo e infine i meravigliosi Antifonari, da osservare a lungo per i tanti preziosi dettagli.

Milano, Palazzo reale, fino al 28 giugno. Catalogo e coproduttore Skira.

Foto “Museo del Duomo – Milano – Palazzo Reale di Milano” di Stefano StabileOpera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.