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Al limite delle parole

(NEV-MH/Riforma) – È una domenica mattina, a Lampedusa sembra essere arrivata la primavera. Ma il risveglio, purtroppo, non è uno di quelli che vorremmo. Qualche giorno fa la notizia di 400 morti nella traversata del Mediterraneo e in questa mattinata, mentre le campane della parrocchia suonano per l’inizio della messa, apprendiamo di un incidente che ha coinvolto almeno 700 persone. Le parole si bloccano in gola, la rabbia e il dolore invece no. 700 persone significa la più grande strage nel Mediterraneo. Poi scopriremo che sono più di 900. In questi giorni a Lampedusa sono giunti più di 1400 profughi, quando la nave arriva vengono trasferiti in Sicilia verso altri centri di accoglienza, ma intanto molti li troviamo per le vie del paese. Stanno bene, volti giovani, ragazze, famiglie con bambini. Sanno che ce l’hanno fatta. Noi parliamo con loro, facciamo amicizia, li vediamo giocare in piazza con altri lampedusani, li vediamo al bar o a passeggiare in un’isola ben lontana dallo stato emergenziale che i media raccontano costantemente. Ma le tragedie non finiscono, come non si fermano le imbarcazioni che partono dalle coste libiche cariche di persone, di profughi, che scappano da guerre e persecuzioni. Il dibattito politico e mediatico sembra soffermarsi unicamente sull’aspetto dei salvataggi in mare o degli scafisti, si parla di Mare Nostrum e Triton. Ma non può ridursi solo a questo. Vogliamo ancora discutere se si debbano o no salvare delle vite in mare? Quelle di bambini, donne, uomini che fuggono dalle condizioni più tragiche? Dobbiamo ancora sentire i racconti del personale medico che per ore ha curato corpi ustionati che si sono imbarcati già in condizioni precarie e hanno affrontato sulla pelle martoriata acqua salata, vento e sole? Della bimba quasi irriconoscibile che ora rischia di perdere entrambi i genitori? La risposta che stiamo dando è ridicola e insufficiente. Non si tratta di una discussione tecnica sui salvataggi ma di mettere in campo una strategia politica efficace e ampiamente condivisa.

Come ha espresso Paolo Naso nel comunicato Nev di questa mattina «da mesi, come MH, avanziamo una proposta e siamo pronti a dare il nostro contributo attivo e diretto: l’idea – accolta da ampi settori del mondo delle associazioni, delle comunità di fede e di alcuni settori politici – è quella di aprire dei corridoi che consentano ai profughi di ottenere una protezione umanitaria presso le ambasciate europee e quindi di viaggiare in condizioni di sicurezza». Ma non solo. In questi mesi abbiamo compreso che questo tipo di intervento non può coinvolgere solo l’Italia e, a questo punto, neanche soltanto l’Europa. Il fenomeno delle persone che stanno scappando dalle guerre, da territori sfruttati, impoveriti, desertificati è di portata mondiale. E mondiale deve essere la risposta. Da settimane avanziamo l’ulteriore proposta che venga fatta una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza dell’Onu per attivare vie legali e sicure di protezione umanitaria per i profughi e i richiedenti asilo. La vita di queste persone riguarda tutti e tutte noi, società civile, governi, Stati che hanno costruito la loro identità anche sulla Carta dei diritti dell’uomo. Diritti che non possiamo salvaguardare solo all’interno della nostra fortezza sempre più invalicabile.

E al limite delle parole che ancora si possono scrivere, vorrei concludere con quelle di una giovane lampedusana che, come molti per fortuna, non si stanca di far sentire la propria voce: «per tutti i politici italiani ed europei che puliscono la loro coscienza istituendo giornate della memoria e creando finte operazioni che, è chiaro, la gente non la salvano. E per tutti gli italiani che si fermano a ciò che gli viene raccontano e che portano messaggi di odio nelle loro case e ai loro figli contro un nemico che è quello sbagliato, perché i “nostri” e i “loro” nemici sono gli stessi. Porterei questi corpi innocenti di fronte ai loro occhi, riempirei ogni volta le loro di piazze, forse alla vista di centinaia di bare, tra cui molte piccole e bianche che spesso non avranno un nome né un familiare che le piangerà, nessuno potrà più far finta di niente, nessuno potrà pronunciare il numero 700 e poi dimenticarsene, nessuno potrà girarsi dall’altra parte. Questi morti sono vostre vittime, siete voi i loro carnefici, io ho solo la sensazione che mi siano stati uccisi dei fratelli».

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