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Armenia: le Chiese chiedono verità

Solo la verità dei fatti storici e il dialogo sincero possono condurre al perdono e alla guarigione delle memorie e il genocidio del popolo armeno è oggi una ferita nel cuore dell’Europa che chiede di essere sanata. Con spirito di fraternità una delegazione della Conferenza delle Chiese europee (Kek, oltre cento membri delle principali tradizioni cristiane, in particolare protestanti, anglicane e ortodosse) si recherà in Armenia per partecipare – insieme ad altri leader politici e religiosi e ai rappresentanti dei sopravvissuti – alle commemorazioni, in programma dal 22 al 24 aprile, per il centenario del genocidio. La delegazione è formata dal presidente della Kek, il vescovo anglicano inglese Christopher Hill e il segretario generale Guy Liagre. Su questa stessa linea di guarigione delle memorie – dopo le parole di memoria, verità e riconciliazione pronunciate domenica scorsa da papa Francesco – si è mossa la risoluzione approvata il 15 aprile dal Parlamento europeo che chiede al governo turco di aprire i propri archivi per fare i conti col passato. In queste stesse ore un nutrito gruppo d’intellettuali europei e leader religiosi ha pubblicato un manifesto nel quale si chiede ai governi e agli esponenti della cultura occidentali di non voltare le spalle «silenti e imbarazzati» alle centinaia di migliaia di uccisi perché «se s’inizia per opportunità a negare un genocidio, per motivi di diversa opportunità, se ne potrà domani negare un altro, chiudere gli occhi su quello dei cristiani di Oriente (e di zoroastriani e yazidi) in corso e magari, perché no, commetterne poi uno». Chiara Biagioni ha intervistato per Sir Europa il segretario della Kek.

Guy Liagre, perché la Kek va in Armenia?

«La riconciliazione e la costruzione della pace sono al cuore della Conferenza delle Chiese europee. Le nostre origini storiche si fondano su un’Europa frammentata e divisa. Era un’Europa impaurita dalla guerra, dove i rapporti tra gli Stati e i popoli e il loro processo di riconciliazione sembravano quasi impossibili. Da queste rovine, un piccolo gruppo di leader delle Chiese si è ritrovato con lo scopo di agire per il superamento delle divisioni tra Est e Ovest. Nel tempo, questo movimento si è allargato e ci siamo impegnati a promuovere l’unità e la guarigione della divisione in Europa tra i sistemi politici, economici e sociali».

Dunque perché oggi l’Armenia?

«Il genocidio armeno si distingue come un evento nel quale l’Europa non è ancora guarita pienamente e non ha fatto del tutto i conti con il suo passato. Si tratta di un momento storico che richiede ancora la voce profetica delle Chiese per parlare dei massacri e della distruzione che non sono ancora largamente conosciuti. Noi crediamo che la guarigione e la riconciliazione siano percorsi lunghi e difficili. Questo è il motivo per cui le Chiese in Europa continuano a chiedere il riconoscimento e la riparazione a quanto avvenuto nel passato, anche se i sopravvissuti al genocidio sono ormai pochissimi».

Quale messaggio porterete?

«Le nostre parole di solidarietà sono anche una richiesta di verità. Per commemorare il passato, occorre raccontare le storie, far rivivere le memorie. Solo quando questo accade, possiamo vedere dove i ricordi dei conflitti e le storie divergono. Nel caso del genocidio armeno tali gesti di ricostruzione della verità stanno lentamente cambiando i cuori e le menti. Sempre più il termine genocidio è accettato e l’elenco delle organizzazioni e dei governi che lo riconoscono, cresce. L’opera rimane incompiuta, ma le dichiarazioni delle Chiese e l’impegno a raccontare e ri-dire la verità, stanno aprendo percorsi significativi di verità che sono gli unici che consentono il perdono e un futuro comune».

Che cosa ha da dire oggi il genocidio armeno?

«Il genocidio armeno fa luce su come facilmente gli esseri umani possono scivolare verso la guerra, il caos e la distruzione. Le commemorazioni in corso e l’impegno per la pace e la riconciliazione sono essenziali nell’Europa di oggi. Ogni giorno ci troviamo di fronte alla constatazione che l’Europa oggi non è ancora in pace con se stessa. La memoria è proprio questo. Ci ricorda la nostra comune umanità, il nostro passato comune, e riorienta il nostro lavoro e le nostre preghiere a un futuro comune. Le parole e i gesti di commemorazione che si terranno il 24 aprile vogliono favorire la speranza per un futuro diverso, dove la pace tra i popoli fiorisce».

Foto Annapaola Carbonatto