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La prima volta del Gay Pride a Tunisi

La settimana scorsa gli occhi dei mezzi di comunicazione di mezzo mondo erano puntati su Tunisi, pronta ad accogliere migliaia di delegati per il Forum Sociale Mondiale, appuntamento ricco di significati a pochissimi giorni dal tragico attentato del museo del Bardo che ha tentato di delegittimare il faticoso percorso democratico nel paese africano. Ma negli stessi istanti, sempre nella capitale tunisina, a breve distanza dal campus che ospitava i partecipanti, si stava svolgendo un altro evento di portata storica, passato però pressoché nel totale silenzio dei media e dei delegati al Forum: il Gay Pride, prima assoluta per la Tunisia e novità quasi totale per il continente africano (esistono alcuni precedenti soltanto in Sud Africa e Uganda) e per uno Stato a maggioranza musulmana.

In due giorni distinti, il 24 e il 28 marzo, i manifestanti hanno messo in scena sfilate colorate e cartelli per chiedere la depenalizzazione del reato di omosessualità dall’ordinamento giuridico tunisino e per rivendicare il diritto ad un’esistenza serena nella propria comunità.

«Si tratta di un evento molto importante, una novità forte nel panorama africano e tunisino in particolare», commenta Pier Cesare Notaro, coordinatore del sito internet “Il grande Colibrì” che racchiude alcune sigle che si battono per la tutela dei diritti delle persone gay, lesbiche e transessuali, fra cui il Moi, Musulmani Omosessuali in Italia. «Il Gay Pride – aggiunge Notaro – si va a inserire nel filone di azioni che hanno lo scopo di condurre la nazione lungo un percorso che la porti ad un futuro più laico e democratico, nonostante attentati come quello del Bardo che tentano di impedire il cambiamento. Ma la via è segnata, seppur fra mille difficoltà».

La situazione per le minoranze sessuali in Tunisia non è semplice «ma le cose stanno cambiando anche qui – sottolinea – Fino a quando al potere ci sono state le forze islamiche conservatrici la repressione è stata pesante. Oggi finalmente i partiti progressisti hanno superato le paure che li hanno caratterizzati in passato e stanno diventando degli interlocutori positivi; si è aperto un dialogo con le comunità Lgbt in loco, dialogo che non può che fare del bene dopo anni di silenzi e discriminazioni».

Le due distinte manifestazioni si sono svolte senza particolari incidenti e hanno attirato l’attenzione dei mezzi di comunicazione locali: «il 24 il tutto si è svolto in un clima di festa e gioia, mentre il 28 gli attivisti sono stati presi a male parole da qualche decina di contestatori, ma il tutto è rimasto in una cornice sostanzialmente tranquilla. I giornali e i siti internet tunisini si sono occupati ampiamente delle due sfilate con toni spesso poco favorevoli – manifestanti paragonati ai peggiori terroristi o a dei malati da evitare – ma di contro vi sono stati moltissimi commenti positivi e di vicinanza, segno che il vento sta cambiando davvero». Colpisce la totale assenza di articoli sul Gay Pride al di fuori dei confini tunisini. Notaro è lapidario: «è vero. L’impressione che ne ricavo è che i media fatichino a inquadrare simili manifestazioni all’interno del quadro sociopolitico africano, musulmano in particolare. Si è talmente abituati a procedere per stereotipi, per macro categorie immutabili, che i giornalisti faticano a occuparsi di chi si batte per i diritti delle minoranze, e per una società più equilibrata. Si rappresentano queste comunità come dei monoliti immutabili, caratterizzate da derive fondamentaliste più o meno rilevanti, e non si va oltre. Ma in tutte queste nazioni, dall’Africa al medio oriente, in Iran come in Pakistan esistono migliaia di attivisti che pagano un prezzo carissimo per provare a cambiare la società in cui vivono. Sono tutte queste realtà che non trovano spazio nell’agenda dei mezzi di comunicazione perché andrebbero a destabilizzare il quadro creato ad arte in occidente».