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Una presenza di solidarietà alle comunità vulnerabili

Da 13 anni nei difficili territori di Israele e Palestina, i volontari del Programma di accompagnamento ecumenico in Palestina e Israele (Eappi), sono una presenza apprezzata. La loro unica arma è una penna o una fotocamera: fanno analisi e resoconti di quanto vedono e ascoltano.

Era il 2002 quando i leader della chiesa di Gerusalemme rivolsero un appello al Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) che, insieme alle chiese d’Europa e degli Stati Uniti, diede vita al Programma di accompagnamento, che contribuisce a contenere la violenza e a promuovere il rispetto del diritto internazionale. La presenza dei volontari è l’espressione di una solidarietà concreta con i gruppi vulnerabili – palestinesi e israeliani.

Partecipano attivamente al programma oltre 70 tra chiese, organismi ecumenici e ministeri specializzati di 22 paesi dell’Africa, Asia, Europa, Nord America e America Latina. Finora hanno preso parte al programma quasi 1.500 volontari. Un accompagnatore, che viene reclutato nel suo paese, deve avere almeno 25 anni e non superare i 70, con esperienza di lavoro con le persone, e deve parlare correntemente l’inglese. Nei tre mesi di volontariato, gli accompagnatori lavorano in team internazionali e vivono in città come Hebron, Gerico e Gerusalemme.

Sono passati 13 anni da quando i leader della Chiesa di Gerusalemme rivolsero il loro appello al Consiglio ecumenico delle chiese invocando una presenza concreta in quei territori martoriati. Tra i promotori vi era il vescovo luterano Munib Younan.

«La presenza degli accompagnatori nella zona significa molto per i più deboli. Creano sicurezza e danno la speranza alla popolazione che qualcuno si prende cura di loro», ha detto il dottor Munib Younan, vescovo della Chiesa luterana in Terra Santa e Giordania.

Isabel Apawo Phiri, di Testimonianza pubblica e diaconia del Cec, ritiene che il Programma di accompagnamento svolga il compito essenziale di dare voce a chi non ce l’ha.

«Il Programma di accompagnamento è un modo nuovo di svolgere il lavoro di pressione politica (advocacy), in parte attraverso la presenza concreta e pratica, in parte attraverso analisi personali e relazioni nell’ambito del programma globale. Ogni accompagnatore ha il compito di scrivere newsletter, blog, tweet, di utilizzare cioè i social media per condividere le proprie esperienze. Questo significa che attraverso i racconti e i resoconti dei vari accompagnatori, diversi paesi possono seguire l’attività dei volontari che sono stati inviati nella zona», ha detto Apawo Phiri.

Ha inoltre aggiunto che attraverso il Programma di accompagnamento, le chiese membro del Cec si assumono la responsabilità di lavorare insieme per una pace giusta e sostenibile in quel territorio. Ovviamente, gli sforzi del Programma da soli non sono sufficienti, ma vanno completati con il lavoro che viene portato avanti con i rappresentanti del governo, con i leader religiosi e con le Nazioni Unite.

Il Cec lavora ampiamente nella regione in collaborazione con i leader della chiesa di Gerusalemme e del Consiglio delle chiese del Medio Oriente.

Fonte: Cec

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