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La laicità è uguale per tutti

Gettare il cuore oltre l’ostacolo. Continuamente, in una sfida quotidiana alle paure, ai tabù, all’immobilismo. Penso a questo mentre Maryam Namazie mi parla tranquilla, seduta in una saletta dell’hotel che la ospita in occasione di una due giorni torinese per celebrare i 20 anni della rivista femminista Marea, ospite della Consulta per la laicità delle istituzioni. 49 anni, avvocata, iraniana, manca dal suo paese dal 1980, all’indomani della rivoluzione che ha trasformato lo Stato in una teocrazia, avvenimento che è stato lo spartiacque della sua vita non solo in senso fisico; perché le future battaglie trovano le loro radici nell’illusione di una rivolta di popolo trasformata in un regime islamico governato secondo i precetti della Shari’a, la legge di Dio. Parlare con Maryam significa spaziare fra le battaglie degli ultimi anni in tema di riconoscimento dei diritti civili, per la secolarizzazione della società, contro l’islamizzazione di molte nazioni mediorientali, per le rivendicazioni di un pari trattamento fra i sessi, e tanto altro ancora. E’ fra le prime firmatarie del Manifesto for Secularism (Manifesto per la secolarizzazione), presentato per la prima volta in Italia e redatto lo scorso autunno alla Secular Conference di Londra, allo scopo di richiamare l’attenzione delle società sul rischio di derive autoritario-religiose, a favore invece di uno stato laico, con netta separazione fra i poteri e pari diritti per donne e uomini.

Qual è lo scopo di questo Manifesto?

«Assistiamo in molte nazioni a una sempre più stretta compenetrazione fra leggi civili e leggi religiose, mentre queste andrebbero tenute sempre ben separate al fine di evitare le discriminazioni: discriminazioni in famiglia a danno delle donne, discriminazioni nei codici giudiziari, persecuzioni nei confronti di chi ha diversi orientamenti sessuali o abbraccia una religione differente da quella al potere. Il Manifesto vuole proprio insistere sulla necessità di una totale distinzione fra leggi dello stato e leggi di Dio. Da Boko Haram ai talebani, da Israele all’Africa, dall’India ai cristiani fondamentalisti statunitensi e in certe parti d’Europa, siamo circondati da esempi di questa deriva. Ma la libertà e l’uguaglianza possono esistere solo in comunità laiche guidate da leggi che mettono in primo piano l’individuo. Stato e chiesa vanno separati. Il manifesto nasce proprio come reazione a un tentativo di ricondurci in secoli bui che pensavamo di avere alle spalle, mentre così non è; diventa allora necessario far maturare la consapevolezza che le cose si possono cambiare, che il fronte si può spezzare».

Quali gli ostacoli maggiori a una reale crescita, in particolare delle società islamiche?

«Ci sono moltissime resistenze sociali, di classe e politiche, al cambiamento. Su tutto poi domina la paura di venire colpiti da pazzi che hanno spesso mano libera, garanti dell’ordine sociale in nome di governi complici e deboli. Le voci di dissenso faticano a emergere, vengono presto isolate, derise, e punite. Ma queste voci esistono, e si fanno sentire anche se non hanno nessuna copertura dei media a casa propria, e quasi nessuna anche all’estero».

Perché?

«L’indifferenza dei media internazionali è funzionale al mantenimento dello status quo, soprattutto in molti paesi arabi, ricchi di materie prime e governati da potentissime oligarchie che si relazionano con l’occidente, e la cui assenza potrebbe ridisegnare i rapporti di forza nell’intera area. Con la scusa del fondamentalismo religioso si mantengono intere popolazioni in condizioni medioevali».

Le recenti manifestazioni in Turchia e in Afghanistan, in cui in due funerali sono state le donne a portare le bare di loro amiche e sorelle, sfidando la tradizione che le vede in fondo al corteo, vanno nella direzione giusta?

«Sono stati gesti bellissimi, fortemente simbolici, contro la subalternità femminile che si manifesta in ogni aspetto, compresi i funerali in cui solitamente le donne vengono relegate in coda. In questi due casi si sono fatte avanti, hanno sfidato le autorità religiose ed hanno portato a braccia le bare delle due ragazze uccise. Ma queste storie ci mostrano un’altra terribile realtà: una delle due ragazze, quella che avrebbe bruciato in pubblico le pagine del Corano, era stata definita pazza dalla sua stessa famiglia. Ma in realtà non era così, tutt’altro: si trattava di una studiosa, ma la vergogna per il suo gesto, che in realtà voleva condannare le vendite di amuleti fuori dalle moschee, e il terrore di venire esclusi e subire persecuzioni hanno portato i congiunti addirittura a mentire davanti alla morte della figlia, della sorella».

Da tanti anni lei vive in Inghilterra e qui è stata fra le fondatrici dell’associazione “One law for all” , Una legge per tutti, di cui è portavoce, che si batte per l’abolizione della Shari’a dall’ordinamento giuridico inglese. Un accostamento da far balzare sulla sedia, di cui molto poco si parla in Italia. Ci spiega cosa significa?

«In Inghilterra a partire dagli anni ’80 si è pensato di risolvere il problema delle nuove migrazioni provenienti dal medio oriente e la conseguente islamizzazione di certe parti della società procedendo per assimilazione. Una delle conseguenze è stata l’approvazione dell’Arbitraction Act, che sostanzialmente introduce la legge islamica per dirimere soprattutto questioni private, familiari. In pratica succede che in casi di divorzi, violenze domestiche e simili ci si rivolga a un tribunale convenzionale che emette la propria sentenza, e poi ci si rivolga a questi consigli di Imam, o di anziani, che regolano le questioni secondo la presunta legge coranica, con sentenze pesantemente discriminatorie nei confronti delle donne. Donne che per prassi e paura finiscono per conformarsi alla seconda sentenza, vergognosamente sancita anche da leggi nazionali che ne riconoscono appunto la validità. “One law for all” si batte proprio per superare l’applicazione di questi tribunali ecclesiastici, che da quando esistono hanno giudicato circa settemila casi, quasi tutti relativi a divorzi. Si è creato in questo modo una società a due piani: su uno stanno i cittadini davanti alle leggi di stato, mentre gli islamisti relegano le donne ad un ruolo subalterno secondo i precetti religiosi. Inaudito, nel cuore dell’Europa patria dell’illuminismo».

Non è stanca di tanto vagare, di accorrere ovunque venga chiamata per poi vedere l’immobilismo delle istituzioni che spesso vanificano gli sforzi?

«In realtà piano piano le cose stanno cambiando, certe idee iniziano a far breccia. Posso vedere il cambiamento. Le persone hanno voglia di ascoltare, capire che esiste una via diversa. Vanno educate, devono sapere che possono dire dei no, che possono criticare, che nessuno vieta loro di essere musulmane, se lo desiderano. Ma musulmani è un conto, islamisti è un altro. Questi ultimi sono dei fanatici che vogliono impedire di pensarla diversamente da loro, sono fascisti. Ognuno è libero di credere o non credere, ma questi aspetti devono rimanere nella sfera privata e non diventare oggetto di discriminazione o sopruso pubblico».  

Copertina: Maryam Namazie, foto di Nanda Lanfranco