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La catena spezzata

609 anni di carcere per 63 imputati: è il bilancio dell’ultimo appello del processo Minotauro sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Piemonte. Tra questi ci sono i 15 anni chiesti per Rosario Marando, assolto in primo grado e di nuovo arrestato a Roma per il sequestro del figlio di un boss di Gioiosa Ionica. Marando è un nome noto in provincia di Torino, rimanda al clan omonimo il cui boss, Ciccio Marando, latitante in val di Susa, è stato ucciso nel ’96 da una ‘ndrina rivale, quella degli Stefanelli, da cui proveniva sua moglie, Maria Stefanelli. Un matrimonio di interesse, per rinsaldare l’alleanza criminale fra due famiglie mafiose e garantire la spartizione del potere e il buon andamento degli affari: e le donne, in questo quadro, sono anelli di congiunzione di una catena che stringe e si rafforza attraverso le generazioni.

Sembra un intreccio da romanzo noir ma è la storia vera, e tragica, di un pezzo di ‘ndrangheta calabrese trapiantato al nord, fra Volpiano, hinterland torinese, e Varazze, sulla costa ligure. La racconta in prima persona Maria Stefanelli in Loro mi cercano ancora. Il coraggio di dire no alla ’ndrangheta e il prezzo che ho dovuto pagare, scritto con Manuela Mareso, direttora di Narcomafie, e pubblicato da Mondadori Strade Blu. Una dolorosa autobiografia che non trascura nulla, dall’infanzia di privazioni e sofferenze al matrimonio con Ciccio Marando, celebrato in carcere, fino alla fuga dopo la morte del marito e la decisione di diventare testimone di giustizia. Maria infatti – che ancora oggi vive in una località segreta – è stata una delle testimoni chiave al processo Minotauro: «L’ho fatto – racconta – perché volevo dare un segno, dire alle altre donne che vivono nelle famiglie mafiose che uscirne si può».

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«Per me era una questione di vita o di morte – aggiunge – e volevo strappare mia figlia a un destino segnato: me la sono immaginata portare pizzini in carcere, rimanere chiusa in casa ad aspettare gli ordini dei maschi di famiglia, magari costretta alla latitanza, senza mai poter scegliere da sola e mi sono detta no, per lei voglio la libertà». Una scelta di coraggio e intelligenza, che a Maria è costata anni di solitudine, paure e silenzio. La sua famiglia d’origine, da quando ha deciso di entrare nel programma di protezione, l’ha dichiarata “infame” e non ha più voluto avere a che fare con lei. Anni di cambi di nome e di residenza, soltanto lei e la figlia da crescere e proteggere, anche da una verità troppo dura per un’adolescente. Perché la ‘ndrangheta non dimentica: sa aspettare anche anni, se serve. Ma Maria sa, pur conoscendone bene il prezzo, di avere fatto la scelta giusta e di averla avuta vinta lei, alla fine. La figlia è libera dal marchio del clan, la catena è stata spezzata.

Maria Stefanelli (con Manuela Mareso), Loro mi cercano ancora. Il coraggio di dire no alla ’ndrangheta e il prezzo che ho dovuto pagare, Mondadori Strade Blu, 2014