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Un passo nella direzione giusta

Da giorni si parla dello storico incontro che avverrà tra papa Francesco e le chiese valdesi il 22 giugno 2015 a Torino. Una prima assoluta, nessun papa aveva mai fatto visita ai valdesi, non sempre considerati ad un pari livello teologico dai predecessori di Bergoglio. L’incontro avverrà in una sede importante, il tempio di corso Vittorio a Torino, uno dei primi edificati dopo la libertà civile e politica concessa ai valdesi nel 1848.  «Una rivendicazione di volontà di dialogo in un mondo che vuole spaccarsi – dice Paolo Ribet, pastore a Torino – con questo incontro diciamo che di muri non ne vogliamo avere».

Come siamo arrivati a questo incontro?

«Tutto nasce sicuramente dalla figura di questo papa, che si attira le simpatie della gente: aveva già visitato, in forma privata, una chiesa pentecostale a Caserta qualche tempo fa. Aveva mandato un messaggio di saluto allo scorso Sinodo Valdese, poi c’era stato un messaggio del Segretario della Commissione del dialogo fra i cristiani della Cei, che era stato molto apprezzato. A seguito di tutto ciò la Tavola ha pensato di fare un invito formale al papa a visitare la Chiesa valdese. Negli accordi tra Uffici Vaticani e Tavola si è deciso che l’occasione da cogliere fosse la visita a Torino del 21 giugno, in occasione dell’ostensione della Sindone e della ricorrenza dei 200 anni di don Bosco. Il bello è che non ne abbiamo saputo nulla fino a 15 giorni fa, quando il moderatore Bernardini ci ha parlato di un invito accettato. La cosa ci fa molto piacere, perché Torino è una chiesa valdese un po’ particolare: è la prima e la più grande al di fuori delle Valli, se consideriamo Pinerolo valligiana, è il primo tempio costruito dopo i diritti civili del 1848, ha una posizione particolarmente centrale, è apprezzata e conosciuta. Per esempio, ieri, alla sinagoga ebraica, a 200 metri dalla chiesa valdese, in occasione della manifestazione per ricordare Emanuele Artom: c’era il sindaco di Torino Fassino, che mi ha detto: “ho saputo che il papa viene da voi”. Evidentemente la cosa ha colpito, anche nella fantasia delle persone: per la simpatia umana del papa, che esce dai rigidi schemi pontifici, e poi perché per la prima volta entra in una chiesa valdese».

Una reazione forte è arrivata anche dal mondo protestante: come legge questo entusiasmo?

«Sicuramente perché è un fatto inatteso e sorprendente. Colpisce l’apertura e la capacità di mettersi in relazione di papa Francesco. Poi perché è il riconoscimento dell’esistenza della nostra chiesa: con Benedetto XVI non fu facile, quando ribadì in alcuni documenti che le chiese riformate avevano solo parte della verità, a differenza di quella cattolica. Il fatto che il papa venga da noi vuol dire che quanto meno c‘è un riconoscimento personale: può inaugurare, anche da parte nostra, una maggiore sensibilità ecumenica. Mi sono arrivati molti messaggi entusiasti, non mi aspettavo che ci fosse una reazione di interesse di questo tipo». 

Cosa succederà il 22 giugno?

«È l’evento in sé che è importante: nel dettaglio ancora non sappiamo, ma saranno le 9 del mattino del lunedì, e avremo un’ora e un quarto, tempo in cui non si possono fare grandi cose. Ci saranno dei saluti, e delle parole molto semplici: sulla bellezza di persone che si riconoscono diverse però sanno che possono stare insieme e costruire qualcosa di importante. In questo tempo in cui si dice che le religioni dividono, spaccano, uccidono, i responsabili di due chiese, il papa e il moderatore, si incontrano e dicano che hanno piacere a stare insieme e sono pronti a discutere le cose su cui non andiamo d’accordo, credo che sia una cosa importante. Una rivendicazione di volontà di dialogo: in un mondo che vuole spaccarsi noi diciamo che muri non ne vogliamo avere».

Il papa sarà a Torino per l’ostensione della Sindone: le differenze su cui discutere ci sono ancora.

«Il gesto è importante, al di là dei discorsi: forse qualcuno ci guarderà come quelli che hanno accolto papa Francesco, e altri guarderanno al papa come colui che è andato anche dai valdesi. Certi muri o durezze che ci possono essere tra le chiese cristiane forse si possono abbattere. La diversità non è un male, perché la verità è sfaccettata, non è mai una lastra unica, ma un diamante dalle mille facce. Ognuno può coglierlo da una parte diversa. Noi siamo afferrati dal Signore e chiamati a predicare nella fraternità. Gesti come questo sono un piccolo passo nella direzione giusta».

Copertina: Thierry Ehrnamm via Flickr