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Studiare teologia nel braccio della morte

«Sono affamata di teologia e di tutto quello che i corsi hanno da offrire. Potete considerarmi una golosa». Kelly Gissendaner, la studentessa che così si esprime, vive da 17 anni nel braccio della morte del carcere di Decatur, Georgia. Nel 1997, Gissendaner ha pianificato, insieme al proprio amante, l’assassinio del marito, al fine di riscuotere l’assicurazione sulla vita e di ottenere la proprietà dell’abitazione. La sua esecuzione era programmata per il 25 febbraio, ma le autorità della Georgia l’hanno posticipata, in extremis, per due volte, adducendo timori sulla qualità dei veleni utilizzati per l’iniezione letale; attualmente non è ancora fissata una nuova data. C’è chi pensa che il sistema penale della Georgia stia affannosamente cercando il modo di non eseguire questa sentenza. Non è facile, perché da un lato in Georgia il Governatore non ha l’autorità di concedere la grazia; dall’altro, la corte che ha tale potere ha già risposto picche. Uccidere Kelly Gissendaner, tuttavia, potrebbe essere impopolare. Come mai? Perché la sua storia colpisce.

In seguito all’incontro con una pastora, la donna inizia un percorso di riconoscimento ed elaborazione della propria colpa e, a quanto pare, vive una significativa trasformazione. Agenti carcerari, compagne di detenzione, persone esterne, testimoniano la profondità di questa esperienza spirituale. Gissendaner diventa un punto di riferimento per le detenute, una delle quali afferma di dovere a lei la rinuncia all’intenzione di suicidarsi.

Nel 2010 l’incontro con la teologia, in un corso organizzato congiuntamente, in carcere, da alcune facoltà di Atlanta. Gli studi della detenuta sono raccontati, in termini realmente emozionanti, dalla prof.ssa Jennifer McBride. Per un tempo, le lezioni costituiscono l’unica occasione per uscire dall’isolamento del braccio della morte; poi questa possibilità viene meno, ma gli insegnanti raggiungono la detenuta nel fondo della galera e il dialogo continua. L’assassina scopre la «grazia a caro prezzo» della quale parla Bonhoeffer; poi le riflessioni dell’ex arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, fino alla teologia di Jürgen Moltmann, centrata sulla nozione di speranza: con Moltmann, Gissendaner intrattiene uno scambio epistolare dal 2010. Ella afferma: «Il corso di teologia mi ha mostrato che la speranza vive ancora e che, a dispetto delle sbarre o della ghigliottina che pende sulla mia testa, ho ancora la capacità di dimostrare che sono umana». Il sorriso della donna, nel giorno della sua graduation, illustra il senso delle sue parole in termini molto efficaci. McBride commenta: «La storia di Kelly ci spinge a riesaminare e a riaffermare le verità che proclamiamo su pentimento, predono, redenzione e speranza. Abbiamo bisogno – prosegue McBride – che Kelly Gissendaner ci annunci – come noi annunciamo a lei – che le promesse di Dio sono reali». Credo di capire quanto intende la professoressa: pastori e teologi pronunciano costantemente parole infinitamente più grandi di loro, non raramente esposte alla vertigine dell’incredulità. Una testimonianza come quella di Kelly Gissendaner ha indubbiamente la capacità di presentare le grandi affermazioni della fede in modo assai incisivo.

Dopo il secondo rinvio dell’esecuzione, i legali di Gissendaner hanno presentato una nuova richiesta di commutazione della pena: lo stress già due volte inflitto alla condannata costituirebbe, tanto più se ripetuto, una punizione «crudele e inusuale», e in quanto tale vietata dalla Costituzione americana. Mentre scrivo (13 marzo) la vita di Kelly Gissendaner è appesa alla volontà delle autorità della Georgia di «dimenticarsi» di riaccendere il motore della macchina mortale. La famiglia della vittima ha vivacemente richiesto che «venga fatta giustizia» al più presto. Molti (non tutti) cristiane e cristiani americani e nel mondo intero, sperano invece che Gissendaner viva. Chi ha a che fare con la teologia, ha forse una ragione in più per tifare appassionatamente per lei, in preghiera. La cosiddetta «scienza di Dio» è stata celebrata molte volte e in termini elevati. L’entusiasmo di Gissendaner, tuttavia, mi sembra provvisto, a modo suo, certo, di un’efficacia non inferiore a quello di certe pagine, che so, di Tommaso d’Aquino o di Karl Barth. La ragione è molto semplice: come quei giganti, ella sembra convinta che la teologia cristiana dica la verità e che ciò possa e debba essere testimoniato con passione. Che altro chiedere, a una teologa?

Foto “GA Diagnostic Prison – Road Sign Photo” by NeilATLOwn work. Licensed under CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons.