corleone

Accadde oggi, 10 marzo

E’ sera quel 10 marzo del 1948 a Corleone, quando Placido Rizzotto esce di casa per andare a trovare alcuni compagni di partito, il Partito Socialista. Non ci arriverà mai.

Scompare così uno dei leader sindacali più influenti della zona. E la zona è di quelle che scottano. Il retrovia palermitano, il paesone di Corleone che sta iniziando a ritagliarsi un ruolo nel panorama mafioso, e che diventerà il centro dell’impero dei vari Riina e Provenzano. In scena nel dopoguerra ci sono altri attori: Michele Navarra, il Dottore, è il boss indiscusso della zona, Luciano Liggio il suo luogotenente (sarà il compare dei giovani Riina, Bagarella e Provenzano negli anni ’60, all’inizio della loro scalata al gotha di Cosa Nostra).

Rizzotto è un personaggio contro: contro lo status quo che mantiene le condizioni dei contadini siciliani al Medioevo, vessati dai ricchi latifondisti e dai mafiosi usati come garanti della pax sociale; e contro le forze dell’ordine che sistematicamente reprimono nel sangue le proteste organizzate per far sì che anche sull’isola si possano distribuire a cooperative di contadini le terre lasciate incolte da ricchi notabili e baroni vari. Tornato dalla guerra Rizzotto viene eletto presidente dell’Anpi di Palermo e della Camera del Lavoro di Corleone. Anni di instabilità totale: da un lato la Sicilia di chi possiede la terra e dei mafiosi che sognano di diventare un protettorato statunitense per poter continuare indisturbati nel loro esercizio di potere così come garantito dall’esercito di Washington dallo sbarco Alleato in poi; dall’altro lato le battaglie delle classi più povere: battaglie per un pezzo di terra da coltivare, per un impiego da trovare, per un diritto elementare da rivendicare. Le elezioni del maggio 1948 segneranno un punto di svolta con la vittoria della Democrazia Cristiana e la comunione di intenti presto trovata con le classi dirigenti isolane che normalizzeranno la situazione. Ma mancano ancora alcuni mesi e non si contano i sindacalisti picchiati e uccisi in questo periodo. Il primo maggio del 1947 c’è stata la strage di contadini e manifestanti a Portella della Ginestra. Insomma la situazione appare ingestibile, se non da chi da secoli si preoccupa di mantenere l’ordine costituito: i ricchi nobili e la loro manovalanza mafiosa appunto.

Rizzotto è sempre in prima fila: rifiuta addirittura di iscrivere all’Anpi Don Michele Navarra. Rischia la vita ogni giorno, e lo sa molto bene. Lo Stato non arriva a tutelare i propri cittadini in certe zone. Il 10 marzo viene caricato sulla 1100 di Liggio, portato in una fattoria isolata, picchiato a sangue e gli viene fracassato il cranio. Il corpo viene gettato in una foiba lì vicino e i resti verranno recuperati soltanto nel 2009. Quella sera il piccolo Giuseppe Letizia, sta pascolando in quelle zone. Ha la sfortuna di assistere all’intero massacro. Torna a casa sconvolto, racconta tutto e il padre lo crede in preda a cristi isteriche o febbrili e lo porta dal medico del paese: che però è Don Michele Navarra. Che ascoltato il racconto del bimbo sa bene che non si sono né febbri né deliri: solo gli occhi di un bambino che hanno visto l’orrore. Una siringa piena d’aria e anche il piccolo Giuseppe si aggiunge all’infinita lista di delitti mafiosi. Ad indagare sulla morte di Rizzotto c’è un giovane capitano dei carabinieri che di nome fa Carlo Alberto Dalla Chiesa, che riuscirà a far arrestare gli autori materiali del pestaggio, mentre i mandanti restano occulti. Dalla Chiesa tornerà in quelle terre molti anni più tardi, pieno di croci e stellette sul petto, ma anche lui morirà come uomo solo.

Foto  “Corleone” di Michael Urso dal de.wikipedia.org. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.