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Sfogliando i giornali del 5 marzo

01 – Libia, secondo le Nazioni Unite la crisi è sempre più grave

Tra rischi legati al terrorismo e violenze che non si fermano, la situazione generale in Libia «si sta deteriorando rapidamente». È quanto ha affermato l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, Bernardino Léon, parlando ieri di fronte al Consiglio di sicurezza. «Se i leader libici non agiscono in maniera rapida e decisa – ha proseguito il diplomatico – i rischi per l’integrità territoriale e l’unità nazionale sono reali e imminenti». Tuttavia, nonostante gli appelli, i due governi rivali di Tripoli e Tobruk, quest’ultimo riconosciuto dalla maggioranza della comunità internazionale, continuano a scontrarsi anche militarmente. Ieri i raid delle opposte fazioni hanno preso di mira gli aeroporti: quello di Zintan è stato attaccato dalle forze che non riconoscono le autorità di Tobruk, mentre nelle ore successive l’aviazione impegnata nella cosiddetta Operazione dignità del generale Khalifa Haftar ha colpito lo scalo di Mitiga a Tripoli. A causa dell’occupazione da parte del gruppo Stato islamico di 11 impianti petroliferi nel centro del paese, la compagnia petrolifera nazionale libica è stata esonerata dalle consegne di petrolio stabilite dagli accordi con i paesi importatori.

02 – Myanmar, cresce la tensione al confine con la Cina

Decine di migliaia di birmani di etnia kokang stanno cercando di sfuggire al conflitto tra la loro milizia e le truppe birmane trasferendosi in modo provvisorio in Cina, oltre il confine che separa il nordest del Myanmar dalla regione cinese dello Yunnan. Liu Zhenmin, il viceministro degli esteri di Pechino, ha negato ogni coinvolgimento cinese, anche indiretto, nella situazione di conflitto e ha chiesto al governo di Naypyidaw di fermare gli scontri. In particolare, il governo del Myanmar aveva accusato la Cina di non avere fermato i mercenari cinesi che avrebbero passato il confine per combattere a fianco dei Kokang. Intanto, l’organizzazione per i diritti umani Amnesty International ha criticato duramente le nuove leggi in discussione nel parlamento birmano, leggi proposte «per proteggere razza e religione». Secondo Richard Bennett, direttore di Amnesty per Asia e Pacifico, «Il passaggio di queste leggi non solo compromette i diritti delle minoranze etniche e religiose in Myanmar di esercitare i propri diritti, ma potrebbe essere interpretato come un segnale di tacito consenso, o anche assenso, del governo per azioni discriminatorie».

03 – Turchia, niente raid in Iraq contro il gruppo Stato islamico

La Turchia ha annunciato che non prenderà parte ai combattimenti contro il gruppo Stato islamico in Iraq ma, stando alle parole del primo ministro Ahmet Davutoglu, «sosterrà comunque Baghdad nella lotta contro i jihadisti». Il 3 marzo la Turchia aveva inviato in Iraq attrezzature militari per le forze irachene che stanno provando a riprendere il controllo della città di Tikrit, in mano ai jihadisti, partecipando così per la prima volta alla coalizione contro il gruppo Stato islamico. Secondo una fonte di Ankara, tuttavia, tra le attrezzature inviate in Iraq non ci sarebbero armi.

04 – Indonesia, rifiutato lo scambio di prigionieri con l’Australia

L’Indonesia ha rifiutato l’offerta dell’Australia di realizzare uno scambio di prigionieri per salvare la vita a due detenuti australiani condannati a morte in Indonesia per traffico di droga. La proposta, inoltrata dalla ministra degli esteri australiana Julie Bishop dopo aver consultato il primo ministro Tony Abbott, prevedeva la liberazione di tre prigionieri indonesiani in cambio di quella di Andrew Chan e Myuran Sukumaran, membri della banda dei “nove di Bali”, arrestati nel 2005 in possesso di 8 kg di eroina. In seguito al rifiuto l’Australia ha minacciato conseguenze diplomatiche e boicottaggi turistici, ma secondo il presidente indonesiano Joko Widodo la legge, che per i contrabbandieri di droga prevede la pena di morte, va rispettata, anche se in passato era applicata raramente.

05 – La Nuova Zelanda spia gli altri paesi del Pacifico

Fanno discutere i nuovi documenti riservati forniti da Edward Snowden e pubblicati dal quotidiano The New Zealand Herald e dal sito The Intercept: secondo quanto rivelato, la Nuova Zelanda ha condotto, e conduce tuttora, attività di spionaggio di massa su internet nei confronti dei paesi vicini nel Pacifico e condivide le informazioni raccolte con l’agenzia statunitense Nsa. L’agenzia Gcsb, l’equivalente neozelandese dell’Nsa, avrebbe dunque spiato i paesi vicini e i dati raccolti sono stati condivisi con i paesi della rete d’intelligence chiamata Five eyes, ovvero Stati Uniti, Australia, Regno Unito e Canada. Le intercettazioni sono di tipo full take, contengono cioè informazioni che rimandano ad altri dati e possono indicare chi è il mittente o il destinatario di un messaggio, oppure l’indirizzo Ip, l’orario e il luogo dal quale è stato mandato. Il premier neozalendese, John Key, ha affermato che l’inchiesta contiene errori e supposizione false, ma si è rifiutato di fornire maggiori spiegazioni.

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