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Donne, islam e altri guai

«La vostra casa brucia, e non ve ne state accorgendo»: la frase, pronunciata in tempi già duri rispetto allo ‘scontro di civilta’, (era il 2006, a 5 anni dalle torri gemelle, ma non ancora con l’Isis alle porte), mi rimase impressa.

La pronunciò Marieme Helie Lucas, fondatrice di Siawi e di Wluml al convegno internazionale La libertà delle donne è civiltà, che la rivista Marea organizzò a Genova nel 2006.

Un appuntamento unico nel suo genere, (filmato interamente e disponibile su Arcoiris) perché per la prima volta in Italia a parlare di fondamentalismo e patriarcato nelle religioni c’erano attiviste da tutto il mondo non velate e femministe, insieme ad un imam laico e di sinistra, candidato per provocazione alla Presidenza della Repubblica francese, attiviste israeliane e palestinesi pacifiste, teologhe valdesi.

Fu in quell’occasione che emerse in modo chiaro che a Londra, nel cuore dell’Europa, e in Canada, si iniziava ad applicare la sharia, su richiesta di alcune comunità musulmane, nei casi di controversia legati a questioni familiari. Una forma silenziosa di accreditamento parallelo di legge religiosa accanto a quella laica statale.

Ho volutamente evidenziato che nessuna delle donne invitate nel 2006 era velata perché sono convinta, avendo imparato molto in questi anni dalle attiviste femministe del mondo musulmano, che non è secondario proporre pubblicamente negli incontri politici donne non velate del mondo musulmano e che, viceversa, proporre solo donne velate in quanto musulmane è una scelta pericolosa.

Conosco bene, (per essere stata più volte additata come non politicamente corretta o come femminista ‘coloniale’ da donne, e uomini, a sinistra) il confronto duro sulla ‘questio’ velo e libertà di scelta. Conosco altrettanto bene le motivazioni che portano molte giovani delle seconde e terze generazioni, che sono cittadine italiane, a scegliere di velarsi: appartenenza identitaria, desiderio di distinguersi in quanto ‘altre’ rispetto alla mercificazione del corpo femminile in occidente, gesto ‘individuale’ di devozione.

Come però ha fatto notare a Londra alla Secular Conference la giovane ex muslim Nahla Mahmoud il problema è un altro: «Sappiamo molto sulle leggi che puniscono l’omofobia e la repressione dei diritti civili e delle donne nei paesi islamici. Ma dobbiamo sapere che il problema lo abbiamo anche qui, non in Siria o in Iran, qui in UK e in Europa. Se incrementiamo la visione multiculturale che consente per esempio il doppio registro perderemo due generazioni di ragazzi e ragazze che sono cittadini e cittadine inglesi, che rischiano di essere manipolati e attratti nelle spire della violenza islamista. C’è chi parla di ‘scelta’ per il velo o per i matrimoni combinati o per il divieto di insegnamento delle materie scientifiche alle ragazze per paura di essere tacciati di islamofobia, ma la verità è che tra i giovani di origine musulmana in Gran Bretagna il 40% interrogato lo scorso anno sulla pena da attribuire al reato di blasfemia ha risposto: con la pena di morte. Qui, non in Pakistan». La sinistra e i liberali, afferma Maryam Namazie di One law for all, compiono un errore pericoloso a non valorizzare il mondo laico dei paesi musulmani.

«Nell’agosto 1997, in Germania – scrive Namazie, una giovane di 18anni fu arsa viva dal padre perché aveva rifiutato di sposare l’uomo scelto per lei. Il tribunale tedesco riconobbe al padre delle attenuanti poiché “egli stava praticando la propria cultura e la propria religione”. In Iran, le donne e le fanciulle sono forzate a portare il velo sotto la minaccia della prigione e della frusta, e i relativisti culturali dicono che questa “è la loro religione, e va rispettata”. Il ministro degli Esteri olandese ha affermato che le prigioni iraniane sono “soddisfacenti, per gli standard del terzo mondo”, e ha forzato il ritorno in patria di coloro che cercavano asilo.

Il relativismo culturale serve a questi crimini. Legittima e mantiene situazioni incivili. Esso dice che i diritti umani di qualcuno nato in Iran, Iraq o Afghanistan sono differenti da quelli di chi è nato negli Usa, in Canada o in Svezia. I relativisti culturali dicono che la società iraniana è musulmana, implicando che le persone hanno scelto di vivere nel modo in cui sono costrette. E’ come se non ci fossero differenze nelle fedi in Iran, nessuna lotta, nessun comunista, nessun socialista, e nessuno che ami la libertà. E se è così, perché 150.000 persone sono state mandate a morte per essersi opposte alla Repubblica Islamica dell’Iran? La lotta contro governi misogini e reazionari è inseparabile dalla lotta contro i credi reazionari e misogini. Naturalmente ciascun individuo ha il diritto di credere ciò che vuole, per quanto offensivo sia, ma chi ama la libertà ha il dovere di testimoniare e condannare credo reazionari, sino a che essi spariranno dalla storia. I relativisti culturali si spingono sino a dire che i diritti umani universali sono un concetto occidentale. Ma come mai quando usa un telefono o un’automobile il mullah non dice che si tratta di roba occidentale incompatibile con la società islamica? Persino a sinistra c’è qualcuno che dice che condannare le fedi reazionarie alimenta il razzismo. Il razzismo ed il fascismo hanno le loro proprie culture. Lottare per i diritti umani significa condannare i credo reazionari, non osservarli. I relativisti culturali difendono gli olocausti dei nostri giorni. Chiunque rispetti l’umanità deve impegnarsi per l’abolizione di ciò che è incompatibile con la libertà umana».

E’ ben chiaro che la questione del velo può apparire secondaria: è da considerare però che si tratta dell’unico simbolo ‘religioso’ che insiste sul corpo femminile puntando a focalizzare l’elemento della ‘modestia’ che le donne devono mostrare nella società, a causa della loro intrinseca natura tentatrice e della disordinata, per ‘natura’, sessualità maschile. Essendo noi in Italia reduci dai fazzoletti delle donne anziane in chiesa (e talvolta anche fuori), mi chiedo se non sia utile aprire un dibattito sull’importanza simbolica di questo piccolo, ma potente, pezzo di stoffa, così come si deve continuare a ragionare sulla deriva mercificatoria del corpo delle donne nelle società ‘laiche’.

Monica Lanfranco sarà al dibattito organizzato a Torino il 7 marzo

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Maryam Namazie e Marieme Helie Lucas saranno a Genova il 28 marzo e a Torino il 30 marzo per i vent’anni della rivista Marea 

Foto “Niqab” di Marcello Casal Jr/ABr. – Agência Brasil [1]. Con licenza CC BY 3.0 br tramite Wikimedia Commons.