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Un tuffo originale nella storia della resistenza

«Mio padre frena così all’improvviso che…»: lo stile Andrea Bouchard si manifesta dalle prime parole e trascina il lettore in un’altra dimensione, in sella a quella bicicletta che frena all’improvviso per finire chissà dove. Questa volta, a differenza dei primi tre romanzi, il «librotrasporto» non è verso un mondo fantastico ma nella cruda realtà della resistenza partigiana.

La protagonista è Marta, una ragazza di tredici anni, che, quando si fa le trecce, ne dimostra otto. Marta vive in montagna con i nonni e il fratello Davide. I genitori sono in città, c’è la guerra, loro sono impegnati in attività antifasciste e si fanno vedere raramente. Il fratello più grande invece è scomparso. Partito soldato, dopo l’armistizio e l’invasione tedesca dell’otto settembre non ha dato più notizie. Potrebbe essere caduto, fuggito all’estero, nascosto o potrebbe essere in montagna assieme ai partigiani… «Capirai quando sarai grande»: questa frase pronunciata dal padre è il tarlo che scava nella mente di Marta fino a diventare un’idea coraggiosa e pericolosa. Lei non riesce ad accettare che il fratello più grande debba impegnarsi in prima persona e a lei, visto che è piccola, tocchi solo stare a guardare.

«Hai mai immaginato un mondo agli ordini di Hitler?» le chiede un giorno suo fratello Davide. È un’ipotesi agghiacciante che non può lasciare indifferenti. Inizia così un graduale percorso di clandestinità per i due ragazzi e per Sara e Marco, i loro due amici del cuore. Nonostante la giovane età, con uno stratagemma si trasformano in una cellula di supporto alla lotta partigiana. Si tratta addirittura di una tripla clandestinità. Infatti i quattro amici lo fanno di nascosto dai nazisti e dai fascisti, ovvio, ma lo fanno anche di nascosto dai partigiani che non devono conoscere la loro vera età altrimenti potrebbero non fidarsi. Inoltre lo fanno all’insaputa delle famiglie. Anzi la loro nuova attività presto diventa una vera fuga da casa che mette i loro parenti prima in apprensione e poi in pericolo.

I ragazzi iniziano a fare le staffette, portano messaggi provenienti dal comando partigiano fino ai luoghi convenuti; Marta sembra una bambina e può permettersi di girare nonostante il coprifuoco. Poi passano all’«intendenza», il reperimento e trasporto di viveri per i partigiani in alta montagna. Poi approdano allo spionaggio fino ad arrivare al sabotaggio estremo.

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Bouchard estremizza la tipica imprudenza giovanile per far compiere ai suoi personaggi delle «azioni» che hanno dell’incredibile. Come gli attraversamenti notturni di impervi valichi alpini, l’introduzione nelle caserme del nemico attraverso passaggi nascosti, i salti sui camion di partigiani durante i rastrellamenti, lo slalom tra le pallottole delle mitragliatrici degli Alpenjäger tedeschi. La fantasia dell’autore è sconfinata e porta a invenzioni geniali e al limite del possibile ma – come sempre leggendo Bouchard – è piacevole abbandonarsi alle contaminazioni fantastiche e oniriche che aiutano a esplorare la realtà da nuove angolazioni e arricchiscono di pathos la narrazione. In ogni caso la rivisitazione della lotta partigiana è rigorosa e procede nel rispetto dei reali accadimenti storici.

Il libro favorisce l’immedesimazione e l’esplorazione storica dei giovani lettori, senza risparmiare le problematicità di quel periodo. Il lettore vive in prima persona le rappresaglie, i tradimenti, le violenze, le uccisioni. Si confronta con il problema del rapporto tra partigiani e popolazione civile, dei conflitti tra le diverse fazioni partigiane e si interroga sulla possibilità di un approccio nonviolento. Il lettore viene a conoscenza della storia della «Zona libera», l’area dell’alta Val Pellice che nel 1944 è stata in mano alla Resistenza in seguito al famoso assalto alla caserma di Bobbio.

In realtà i paesi e le valli valdesi stesse non sono mai citati con il loro nome. I nomi sono di fantasia con l’intento di delocalizzare e universalizzare il racconto che potrebbe essere riferito a uno dei tanti teatri alpini della resistenza. Chi conosce le Valli non ha però difficoltà a individuare le località a cui Bouchard si riferisce. Lo spirito valligiano permea il romanzo attraverso frequenti incursioni del patois, non tradotto – ma si capisce benissimo – di quei montanari che non hanno nulla ma ai partigiani offrono tutto. Le incursioni linguistiche sono anche in tedesco, parlato dalla protagonista e usato in varie occasioni per coadiuvarne il camuffamento.

Marta è forse a tratti un po’ supponente, coraggiosa al limite dell’incoscienza, sognatrice, a volte poco fiduciosa nel prossimo, a volte troppo. Vive l’innamoramento in modo molto combattuto, complesso, ricco di ansie e paure , di slanci romantici infiniti e questo approccio consente una sicura immedesimazione ai giovani lettori, ma anche delle reminiscenze adolescenziali per i meno giovani. Marta è una musicista e le sue note guidano, come una colonna sonora, la lettura, lenendo le pene, riconciliando, trasformando, quando possibile, il conflitto in dialogo e allegria.

Il libro scandisce, con poche regolari pennellate, le fasi della guerra, inserendo un comunicato di Radio Londra o un messaggio del passaparola: a partire dall’otto settembre, agli sbarchi in Sicilia e Normandia, all’attentato a Hitler, fino all’avanzamento dei russi e alla caduta di Berlino. Il volume è impreziosito in appendice dall’inquadramento storico, sintetico ed efficace, di Pierfrancesco Gili. Una lezione di storia alternativa e avvincente.

Una storia dentro la storia che funziona come un’iniezione di autostima e fiducia per le giovani generazioni che leggendo Bouchard possono trovare nuova linfa per la loro voglia di esserci, di partecipare, di contribuire a migliorare il mondo. C’è un gran bisogno del loro impegno!

* Andrea Bouchard, Fuochi d’artificio, Milano, Salani, 2015, pp. 318, euro 14,90.