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Un anno terribile per i diritti umani

Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani in 160 paesi del mondo tra il 2014 e il 2015; ne abbiamo parlato con il portavoce italiano Riccardo Noury.

Quali sono le caratteristiche principali dell’ultimo rapporto?

«Quello che emerge è la natura mutata e sempre più crudele dei conflitti, che non sono più localizzati in parti specifiche o territori di uno stato, ma tendono a diventare conflitti regionali, con gruppi armati come Boko Haram o il gruppo denominato Stato Islamico, che occupano parti importanti di più stati. Conflitti che producono un numero enorme di rifugiati, e che rimangono nel 95% dei casi nei paesi circostanti, a causa dell’assenza di volontà politica da parte dei paesi più ricchi di garantire loro protezione, anche attraverso il reinsediamento. Una prolungata incapacità del Consiglio di Sicurezza dell’Onu di agire preventivamente, e di frenare i conflitti, un irrefrenabile flusso di armi che quei conflitti vanno ad alimentare, e sullo sfondo una possibile nuova stagione di leggi liberticide e provvedimenti illegali per contrastare una nuova possibile minaccia alla sicurezza, così come quella post 11 settembre 2001. Accanto a forme classiche di violazione dei diritti umani, penso alla libertà di espressione, che secondo questo rapporto in 119 paesi è limitata, o alla tortura, ancora praticata in 131, vediamo quelle stesse forme di violazione applicate in contesti nuovi: penso al problema della sorveglianza di massa illegale e arbitraria, che ha chiamato in causa le agenzie degli Stati Uniti e del Regno Unito, oppure l’uso della tortura per punire e colpire rappresentanti di gruppi religiosi. Sono scenari preoccupanti, di fronte ai quali Amnesty ha il compito di denunciare, ma anche di indicare possibili soluzioni».

Quali sono queste possibili soluzioni?

«Il Consiglio di Sicurezza deve agire per far fronte in maniera preventiva alle crisi, controllarne l’esito e fermare il loro proseguimento, cosa che non può essere fatta se non abolendo il diritto di veto o di rinunciarvi quando sono in discussione casi di genocidio o di diritto internazionale. La seconda è frenare il commercio di armi, lo strumento c’è, il trattato entrato in vigore nel 2014. Poi cambiare approccio sul tema dei rifugiati, garantendo assistenza e protezione e il reinsediamento dei gruppi più vulnerabili; in ultimo non prendere la strada delle risposte sbagliate per garantire la sicurezza, come dopo il 2001, ma guardare indietro e chiedersi se da allora il mondo è più sicuro e i diritti sono più rispettati».

Parliamo dei gruppi armati, di cui si parla nel rapporto. Sono ovviamente molto citati, ma non è un fenomeno nuovo.

«Si, è un aggiornamento. La nascita di quello che oggi si autodenomina Stato Islamico avviene nello scorso decennio, in Iraq, negli anni successivi alla deposizione di Saddam, al licenziamento in massa delle sue forze di sicurezza e all’invasione a guida statunitense. Boko Haram non è certamente attivo dal giorno in cui si è fatto conoscere di più, con il rapimento di quasi 300 studentesse, ma è un gruppo che già dal 2009 fa stragi di civili. La cosa impressionante è che questi gruppi hanno aumentato il loro potere, lo hanno fatto gradualmente, appropriandosi di depositi di armi, arricchendosi o venendo anche alimentati: la comunità internazionale non è riuscita a comprendere e a fare tesoro degli errori del passato. Al Quaeda era sorto al servizio dell’occidente, in Afganistan, contro l’Unione sovietica. Più recentemente gruppi armati islamisti sono stati creati e rafforzati in Siria in funzione anti-Assad, salvo poi scoprire che poi il nemico vero erano proprio loro. Il danno per i diritti umani è spaventoso».

Dunque il 2014 è peggiore di altre annate?

«Ci si aspetterebbe che Amnesty, propagandando la sua efficacia, il suo successo, dica il contrario, ma dobbiamo essere realisti: il 2014 è stato un anno in cui abbiamo assistito all’aumento dei crimini di guerra, all’aumento dei rifugiati, dei morti in mare, il mediterraneo è diventato una fossa comune, abbiamo assistito a 50 giorni di conflitto a Gaza senza che nessuno potesse prendere un’iniziativa per convincere le parti, in particolare quella israeliana, a cessare. Dopo tre anni di nulla, per la prima volta il Consiglio di sicurezza ha adottato una risoluzione in cui chiedeva la fine degli attacchi indiscriminati contro i civili in Siria: carta straccia. Un anno terribile per i diritti umani».

E in Italia?

«L’Italia presenta delle lacune che ormai sono di natura storica: l’assenza del reato di tortura nel codice penale, una cosa che l’Italia avrebbe dovuto fare fin dalla fine degli anni ’80, la discriminazione nei confronti dei Rom, dura a morire, la violenza contro le donne che è un fenomeno gravemente stabile, la discriminazione delle persone Lgbti, e l’assenza di misure di protezione nei loro confronti, la mancanza di progressi nelle indagini sugli abusi da parte delle forze di polizia. Qualcosa di buono poteva restare nella storia dell’Italia, come Mare Nostrum, ma è stato sepolto con tutta la sua carica di protezione, ricerca e soccorso in mare, e ignobilmente è stato detto che l’operazione Triton era di pari efficacia: così evidentemente non è stato».

Come commenta le ultime notizie sulla libertà di culto, in particolare dopo la legge della Lombardia?

«Un motivo di preoccupazione: l’identificazione di un gruppo di una fede religiosa come una minaccia, anche grazie a politici che si esprimono in modo irresponsabile, è preoccupante. La libertà di culto è una ricchezza, un valore che si assomma ad altri. Negare o penalizzare la libertà di culto è un sottrarre, non un arricchire».